La crisi del M5S/ L'accordo conveniente che salverà il Movimento

Mercoledì 7 Luglio 2021 di Alessandro Campi

Ci si chiede come finirà lo scontro tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte per il controllo del M5S. Semplice: con un compromesso reciprocamente conveniente. Il primo resterà il garante o custode, sul piano politico-ideologico, dalla galassia grillina, ma dovrà smettere i panni del fondatore-padrone ruvido, scontroso e capriccioso. L’altro sarà la nuova guida politica, ma più con un ruolo da stabilizzatore-federatore che non, come sperava, da capo con poteri assoluti.
Conte ha provato il colpo gobbo.

Approfittando della situazione di oggettiva difficoltà (politica e personale) nella quale Grillo si trova da mesi, ha creduto che fosse questo il momento migliore per sfilargli la sua creatura. Ricorrendo, come arma, alle sofisticherie regolamentari che sono pane per un civilista di mestiere. 


Quando il Nostro ha realizzato quel che stava accadendo, vedersi sbattuto fuori dalla casa che ha costruito con le sue mani, ha reagito come una belva ferita: lo spettacolo del suo furore sincero lo abbiamo ancora dinnanzi agli occhi. Fallito il disegno un po’ avvocatesco di prendersi il partito come se fosse un’azienda decotta coi libri in tribunale, di quelle che si comprano per un euro simbolico, si è aperta una trattativa politica (certamente complicata) che non prevede altra conclusione che un accordo.


Conviene ai due contendenti. Conviene a iscritti, militanti ed elettori del M5S. Ma in fondo conviene all’intero sistema politico italiano e a tutti noi cittadini. Vediamo brevemente perché, cominciando dai duellanti. Grillo, dunque. Per quanto ancora si ostini, nelle sue esternazioni pubbliche, a invocare la purezza rivoluzionaria e visionaria delle origini, egli sa bene che una fase nella storia del Movimento è finita per sempre. Non si può sempre predicare il cambiamento, bisogna anche praticarlo. Non è un caso che proprio lui, dopo aver teorizzato la necessità di non contaminarsi con le altre forze politiche, abbia voluto l’accordo di governo dei grillini prima con la Lega salviniana, poi con la sinistra del Pd. Dopo il picco nei consensi del 2018, ottenuto a suon di “vaffa”, era necessario mettersi alla prova.


Ma entrambe le esperienze sono state fallimentari: hanno messo a nudo i limiti di cultura politica e di preparazione tecnica di un gruppo parlamentare e dirigente selezionato spesso frettolosamente. Così come si è visto non funzionare il modello organizzativo del partito-rete: privo di radicamento territoriale, senza una guida unitaria formalizzata, gestito attraverso una piattaforma informatica di proprietà di un privato cittadino.


Su questa strada non si poteva più continuare, considerando anche i cambiamenti indotti dalla pandemia nell’umore collettivo: il radicalismo verboso e rabbioso dei populismi oggi mal si concilia col bisogno di rassicurazione, protezione e concretezza che domina nella società. Da qui la scelta, inevitabile e comprensibile, di affidarsi ad un simpatizzante della causa come Conte: un mediatore nato, capace potenzialmente di attirare sostegni trasversali, ben addentro nelle logiche dei palazzi del potere, in grado dunque di rappresentare il grillismo del futuro in una versione moderata e pragmatica. Esattamente quello che serve ad un movimento-partito che ha bisogno di darsi finalmente regole organizzative chiare e i cui principali esponenti (da Fico a Di Maio) da un pezzo sono passati dalla lotta contro il sistema al doppiopetto. 


Un passaggio dalle barricate alle istituzioni, come segno di maturità culturale e come necessità politica, incoraggiato sempre da Grillo, che dunque adesso non ha argomenti seri (se non il proprio orgoglio ferito) per opporsi ad oltranza a Conte dopo averlo peraltro scelto. 
Quanto a quest’ultimo, al di là delle minacce scissioniste che è andato ventilando in questi giorni, davvero intenderebbe sobbarcarsi la fatica di fondare un nuovo partito (magari dalla vita stentata come l’ebbe l’Italia Civica di Mario Monti) quando ha la possibilità di guidarne uno, certo in crisi e dilaniato al suo interno, ma già “bell’e fatto” e con un marchio ben affermato? Gli basta, per raggiungere questo risultato, non alzare troppo la posta e applicare quello spirito di compromesso di cui è già un maestro.


Tra l’altro cos’è questa mania di «farsi un partito», come si dice abitualmente? Prendere un gruppo di senatori e deputati e raccoglierli sotto una nuova sigla elettorale significa dare vita ad un nuovo gruppo parlamentare, all’ennesimo marchio personalistico. I partiti veri, destinati a incidere e durare, sono quelli che sorgono dalle fratture e dai conflitti presenti nella società, non dalle manovre all’interno del Palazzo. Quanti “partiti” abbiamo visto nascere nella cosiddetta Seconda Repubblica che si sono sgonfiati, per poi sparire, alla prima prova con le urne? Conte lo sa bene e dunque le sue ambizioni di leader potranno concretizzarsi sul serio solo se il M5S resterà unito e si darà, grazie al suo lavoro di cucitura, un nuovo assetto organizzativo e funzionale.


Ma da un accordo Grillo-Conte, come detto, avrebbe da guadagnare l’intera comunità grillina. Certo i parlamentari preoccupati del loro futuro, che diverrebbe per tutti ancora più incerto se questo clima di rissa non si interrompe. Ma anche quegli elettori e simpatizzanti che ancora credono alle storiche battaglie del movimento: l’ecologia radicale, l’economia circolare, la democrazia diretta elettronica, la trasparenza come virtù politica per eccellenza, la lotta senza quartiere alla corruzione, la partecipazione dal basso al potere. Bubbole ideologiche, utopismi, si dirà, ma per quel che valgono (molto, evidentemente, per chi li condivide) non meritano di venire travolti da carte bollate, intimazioni di sfratto, insulti tra ex amici, dichiarazioni rabbiose ai giornali, girandole di insinuazioni, richieste di danni ecc. Sarebbe la fine davvero ingloriosa di un sogno.


Da ultimo c’è un interesse alla pace tra i due, per così dire, collettivo e di sistema. Una scissione, come frutto di un mancato accordo tra Grillo e Conte, aumenterebbe la frammentazione partitica e l’instabilità: non se ne sente il bisogno, viste le sfide che attendono il Paese. Così come potrebbe avere conseguenze nefaste per tutti lo sfascio di quel mondo. Qualche concorrente, a destra e sinistra, se ne avvantaggerebbe elettoralmente, ma il rischio vero, fallendo il grillismo in questo suo non facile percorso verso la normalizzazione, è che si crei una massa di arrabbiati e frustrati in cerca del prossimo demagogo o tribuno. Così come salterebbe, nei due casi, scissione o implosione, qualunque possibilità di un’alleanza organica a sinistra col Pd in grado di competere col campo del centrodestra: laddove un bipolarismo tra coalizioni relativamente omogenee è pur sempre preferibile al bric-a-brac parlamentare cui abbiamo già assistito in questa legislatura, durante la quale tutti si sono praticamente accordati con tutti a dispetto d’ogni possibile differenza politica, ideologica o culturale. 
Insomma, Grillo ha bisogno di Conte. Conte ha bisogno di Grillo. Il M5S ha bisogno di entrambi: il padre nobile e il capo politico. Ed entrambi hanno bisogno di un M5S ancora minimamente solido come forza politica. E dunque prepariamoci alla soluzione di compromesso alla quale proprio in queste ore si sta alacremente lavorando.

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