Il caso ChatGPT/ Le regole (globali) indispensabili per la Rete

Domenica 20 Agosto 2023 di Giuseppe Vegas

L’intelligenza artificiale (AI) rappresenta oggi la rivoluzione tecnologica della rivoluzione tecnologica dell’informatizzazione delle nostre vite, una sorta di rivoluzione al quadrato.

Il fenomeno, come tutte le innovazioni di portata storica, è di quelli che spaventano molti. Le macchine disporranno della capacità di autoprogrammarsi e potranno assumere decisioni autonome, finalizzate anche a sostituire quelle umane. Attualmente non abbiamo ancora sufficiente chiarezza dell’esito finale della competizione e soprattutto se gli umani riusciranno a controllare la situazione o se saranno sottomessi alle macchine. 


Il futuro della visione antropocentrica del mondo è, per la prima volta, posto in dubbio. In attesa delle future evoluzioni, subiamo già oggi la perdita della nostra privacy, a causa dell’integrazione in potentissimi calcolatori di tutti i nostri dati personali, inclusa la possibilità di riconoscimento facciale, grazie al quale è possibile rappresentare emozioni e sentimenti. A fronte di questi pericoli i governi sono corsi ai ripari, nella consapevolezza che, se l’intelligenza artificiale va accettata perché offre, ogni giorno di più, strumenti indispensabili per rendere migliore la nostra vita, il suo utilizzo deve essere ragionevolmente sorvegliato e i rischi limitati. Si è aperta quindi la gara a chi sarà il primo a regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale, e quindi a poterne trarre immediati vantaggi e lasciare agli altri problemi e costi. Il giorno di Ferragosto la Cina ha pubblicato le sue regole, ma solo in materia di intelligenza artificiale generativa, cioè su quella parte di IA che consente agli utenti, con il semplice inserimento di domande, di ottenere testi, immagini, audio e video. Quel metodo che consente di scrivere automaticamente un testo e che noi conosciamo grazie al successo di Chat-GPT, l’ormai notissimo programma, sogno degli studenti e incubo dei giornalisti, e già puntualmente imitato, a iniziare da Google con Bard e da Microsoft con Bing Chat.


Gli Stati Uniti si sono concentrati sull’eliminazione dei possibili conflitti di interesse nel mondo della finanza. Da parte sua, il Parlamento europeo ha approvato, il 14 giugno scorso, l’Artificial Intelligence Act, che tuttavia non entrerà in vigore prima della fine dell’anno. L’Unione Europea si è dunque posta l’obiettivo di affrontare la questione, di carattere più complesso, di come definire controlli e limiti, per offrire a tutti una protezione generalizzata e tecnologicamente neutrale, in modo da tutelare gli europei nei confronti delle principali tipologie di rischio.  A differenza dell’approccio nordamericano, che è prevalentemente orientato a garantire la sicurezza dei sistemi informatici, con un occhio all’integrazione dei mercati mondiali, la scelta europea è quella di individuare le potenziali minacce per la libertà e la sicurezza dei nostri concittadini. 


Essa inoltre prevede una autorizzazione preventiva per l’immissione in commercio di prodotti appartenenti a settori industriali potenzialmente pericolosi. È il caso, ad esempio, della gestione delle infrastrutture critiche, dell’identificazione facciale, dell’educazione e del lavoro, solo per citare i casi più importanti.  Quanto all’intelligenza artificiale generativa, la proposta di regolamentazione europea non va oltre la richiesta che venga esplicitamente dichiarato che vi si è fatto ricorso. Che, in fondo, non è molto diverso dal chiedere all’oste se il vino è buono. La realtà è che, a fronte del fenomeno del dilagare dell’intelligenza artificiale nella nostra vita quotidiana, crescono in tutto il mondo i timori che il nuovo strumento possa essere utilizzato per fini illeciti o possa anche autoalimentarsi e sfuggire al controllo umano.  Dall’altra parte, si sono subito anche levate proteste da coloro che ritengono che, fissando oggi delle limitazioni, si rischierebbe di cristallizzare la tecnologia e di provocare il blocco dell’evoluzione e della competizione industriale in Europa. Bisogna però tener presente che si tratta di standard destinati a tutelare la libertà personale dei cittadini europei, prima ancora dei loro diritti di consumatori. 


Infatti, non si tratta solo di una questione economica, ma della necessità di salvaguardare il bene pubblico rappresentato dalla trasparenza dei meccanismi di formazione della loro volontà. Tema che va assumendo crescente importanza in un’epoca in cui la diffusione di informazioni false o tendenziose rende pressoché impossibile distinguerle da quelle vere. Il rischio di spingere a scelte inconsapevoli o contrarie agli interessi o ai desideri degli utenti può essere causa di effetti distorsivi anche di carattere politico. L’attribuzione di opinioni false a personaggi politici o addirittura a leader mondiali, o la loro raffigurazione in immagini o in realtà inesistenti - le cosiddette fake news - ha spesso proprio lo scopo di indurre molti a cambiare le proprie preferenze e, con esse, anche le loro scelte alle elezioni. Si tratta di un rischio che i sistemi democratici non possono permettersi di correre.


Tuttavia è inutile illudersi o sperare che la rete possa essere controllata da singoli Stati. La rincorsa a dotarsi di regole, ciascun Paese per suo conto, non potrà sortire altro effetto che quello di scatenare una competizione alla ricerca della giurisdizione più favorevole. Poiché la rete è globale, se non lo sarà anche la regolamentazione, le incursioni nella vita dei cittadini e le turbative nei mercati, nell’informazione e nelle scelte di carattere politico cresceranno, prima gradualmente e poi in modo esponenziale, sino a minare i fragili equilibri mondiali.  La strada è tutta in salita. Ma questa volta le macchine non potranno decidere per noi. Il futuro è esclusivamente nelle mani dell’uomo.

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