La legge sull’autonomia, dopo continue modifiche e rettifiche, è arrivata al suo punto di svolta.
Anzitutto, non c’è niente su Roma e niente per Roma. Capitale ignorata. Ridisegnare la forma dello Stato a prescindere e senza indicare il ruolo della sua città guida è una dimenticanza, o un’omissione, plateale. Così come non esiste nessuna garanzia e nessun equilibrio rispetto alle esigence del Centro Italia e del Meridione. E stride con il passo avanti sui Lep il fatto che il processo per definirli resti in capo a una regia tecnico-politica che è dell’esecutivo e non passi attraverso il Parlamento - per eccellenza luogo di incontro e di confronto tra le varie istanze territoriali - e sfugga ad un organo di controllo come è quello della Corte Costituzionale.
E ancora: resiste nel progetto approvato in Consiglio dei ministri l’enorme criticità e la massima confusione rappresentata dalle 23 materie da passare nel potere delle Regioni (per quanto riguarda la sanità la fondazione Gimbe parla addirittura di una deriva «eversiva»). Sono particolarmente dubbi i trasferimenti delle facoltà legislative in materia di istruzione, ambiente, tutela della salute, rapporti internazionali e con l’Unione Europea, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione e ordinamento delle comunicazioni. Si consente insomma il trasferimento delle autonomie alle Regioni senza prima recuperare i divari tra il Nord e il Mezzogiorno.
A questo si aggiunge il fatto che sulle intese definite tra il ministro degli Affari Regionali e le Regioni al Parlamento è concesso solo di esprimere un parere non vincolante e un voto di ratifica senza possibilità di emendamenti. Il che è un rischio aggiuntivo a quello costituito dall’esautoramento delle Camere nella possibilità di intervenire sulle disposizioni relative al trasferimento di risorse umane e finanziarie alle Regioni e dall’estromissione del Parlamento a partecipare alla definizione dei Lep. Ecco, un autonomia fatta così significa sottrarla al vaglio democratico e istituzionale. E finisce per diventare una forzatura che l’Italia non merita.