Da Corinaldo agli incidenti per uccidere, l'estate violenta dei giovani senza regole

Martedì 6 Agosto 2019 di Paolo Graldi
Da Corinaldo agli incidenti per uccidere, l'estate violenta dei giovani senza regole

L'età. La giovane età o piuttosto la giovanissima età tiene insieme, accomuna l'impressionante sequenza di episodi di cronaca di queste ore, dove la furia calcolata deflagra, sbalordisce per il cinismo e la strafottenza che la sottendono. Sono ragazzi che si riconoscono nel comune sentire la violenza come mezzo e come fine; si attraggono cercando soldi usando la scorciatoia della rapina, dell'assalto verso i deboli, gli indifesi. Rabbiosi, violenti e però anche vigliacchi.
Il modello è quello delle piccole bande che si nutrono di miti trash e vivono il sopruso con insensata allegria e sprezzo delle legalità. Gli scenari squarciati dalle intercettazioni sui componenti della bande del peperoncino lasciano interdetti. I sei giovanotti, arrestati dopo mesi di indagini, ritenuti responsabili della strage della discoteca La Lanterna Azzurra di Corinaldo e di una infinita serie di colpi con il medesimo modus operandi, rivelano sghignazzando la loro vita sballata, si gasano ricordando le scorribande nei locali dove seminavano il panico con il gas per poi, nel caos generale, arraffare oggetti d'oro e cellulari.

Corinaldo, il “patto di silenzio" della banda alla prova degli interrogatori. Uno di loro nega tutto

Il padre di uno dei capetti ha affidato la sua dolorosa testimonianza a un tg: «Rubava fin da bambino, anche in casa, in negozio, diceva che sulla paghetta ci sputava sopra, che il lavoro è per i fessi. Neanche San Patrignano, dove lo hanno tenuto per un po', lo ha piegato. Niente e nessuno. Adesso merita una pena severa, da scontare tutta».
A scuola malissimo. Come gli altri della gang. Al bar sfuriate minacciose, spacconate, sbornie. In fretta scopriamo nei dettagli un mondo di devianze gravi, radicate, dove bullismo e droga, furti e rapine, spaventosi potenziali criminali, si incontrano e si intrecciano. E così, seguendo il filo rosso dell'età, incontriamo i due studenti americani venuti a sballarsi a Roma dalla California e adesso imputati di un atroce delitto, l'uccisione di un carabiniere. Ragazzi per bene secondo i genitori, dai precedenti premonitori e inquietanti secondo i loro docenti e i compagni che li tenevano alla larga. Del resto, quali pensieri e modi d'agire si agitano nella testa di un ragazzo che in vacanza si porta un pugnale da marine e mostra che il suo primo interesse è comprare cocaina?
Il germe, il virus della violenza, viene prima dell'atto che lo rivela, è già presente e rilascia tracce di sé, come in agguato, in attesa di esplodere. Di esplosione, di lucida determinazione assassina si deve parlare allungando lo sguardo nel Paese dei due omicidi, gli Usa, dove le azioni con armi da guerra falciano decine di vittime casuali, nel mirino per razzismo, xenofobia, odio puro. Ecco, l'odio. Il disprezzo degli altri come motore e carburante di violenza.
Lo rintracciamo nell'episodio di Bergamo dell'altra notte, esemplare nello svolgimento: apprezzamenti sgraditi a una ragazza, il risentimento del fidanzato, l'attesa fuori dalla discoteca e poi l'agguato con speronamento dello scooter. Due morti, entrambi giovanissimi. Il colpevole viene arrestato a casa sua, tranquillo sul divano, accarezzando il cane davanti alla tv. Lavora con la mamma, adora la disco music. Il suo motto? «Senza presente non c'è futuro».

Nelle stesse ore un diciassettenne a Londra lanciava, forse per vedere l'effetto che fa, un bambino da un terrazzo: i medici dicono che si salverà, per miracolo. In questa deriva di violenza a macchia di leopardo, dove tuttavia prevale quella di gruppo, organizzata, imitativa di criminalità strutturate e radicate, si è come di fronte a un corto circuito che annienta i valori più elementari, si fa beffa della legge e dei suoi rappresentanti in una sfida demenziale ma gonfia di arroganza temeraria.
In questo quadro che si ripete a copione diviene imponente l'assenza degli adulti. Non ci sono. Sono sfumati, disattenti, distratti. Soccombenti, quando non addirittura cattivi maestri. La forza dell'educazione presa a calci, gli insegnamenti della scuola come acqua sul marmo. E s'impongono, perfino nel più insignificante gesto quotidiano, gli stereotipi del vediogame d'assalto: la forza, la brutalità, la sopraffazione. C'è di che essere altamente allarmati. Qui non è questione di generazione, di nuovi stili di vita, di modi diversi d'intendere il vivere nella collettività.
La lettura professionale delle confessioni telefoniche della banda della strage di Corinaldo ci restituisce uno spaccato di verità che non va portato soltanto nell'aula del giudizio penale o nelle cattedre di criminologia forense ma nelle case, sui tavoli da pranzo, sui divani davanti alla televisione. Nei dibattiti alle feste della politica ed anche ai tavolini dei caffè delle vacanze. Perché questi ragazzi che si bruciano la gioventù e il futuro portano in corpo qualcosa che potrebbe rivelarsi contagioso. E diffondersi come un'epidemia malvagia e virulenta.
 

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