Il via libera in Puglia/ E adesso la Tav torna nel mirino: Pil Italia a rischio

Lunedì 29 Ottobre 2018 di Oscar Giannino
Il sì al gasdotto Tap dopo la mancata chiusura dell’Ilva sta costando caro ai Cinque Stelle.
Avevano che avevano contratto con i propri elettori l’impegno di fermarlo. E ora che cosa accadrà sul resto delle grandi opere? L’incontro di ieri tra Salvini e Di Maio – si è parlato soprattutto di nomine Rai – viene raccontato dai portavoce ufficiali con rassicuranti conferme dell’intenzione di continuare in coerenza al contratto firmato tra le due forze politiche. Ma mentre il capitolo della legge di bilancio – prepensionamento e reddito di cittadinanza – verrà monitorato insieme lungo l’intero esame parlamentare a seconda dell’andamento dei mercati, non c’è dubbio che le grandi opere segnino divergenze reali e profonde tra Lega e Cinque Stelle. 
Dalla nascita del governo sino a una decina di giorni fa, infatti, non si contavano le dichiarazioni di esponenti della Lega, da Salvini ai capigruppo, favorevoli lancia in resta alle grandi opere di trasporto del Nord: Terzo Valico, Tav, Alta Velocità ferroviaria nel Nord Est fino a Trieste, Pedemontana Lombarda e Pedemontana Veneta. E tuttavia, dopo la marcia indietro che Di Maio ha dovuto subire sul no al Tap in Puglia, mal mascherata dall’alto costo prevedibile dei risarcimenti chiesti dai privati in caso di blocco dell’opera spacciati invece per penali automatiche, che cosa può avvenire ora se Salvini, per andare avanti, dovrà concedere una contropartita ai Cinque Stelle?
Diciamolo. La candidata possibile a cadere sotto la ghigliottina è la Tav. Se la Lega s’impunta anche a favore dell’Alta Capacità ferroviaria Torino-Lione, per i Cinque Stelle la situazione può diventare insostenibile. E il rischio di rottura diventa incandescente. I leghisti avevano fatto modificare la prima stesura del contratto di governo che suonava esplicitamente avversa alla Tav , e avevano sperato sull’atteggiamento non ideologicamente ostile al compimento dell’opera da parte del sindaco Appendino di Torino. Ma alla fine il sindaco si è piegato al suo gruppo consiliare che è per il no intransigente. Anche per questo, negli ultimi giorni e man mano che il sì al Tap diventava ufficiale, i leghisti hanno preso a tacere sulla Tav.
Ma che cosa comporta il no alla Tav? La storia di quest’opera è lunghissima. Inizia nel 1996, passa nel tempo per 10 diversi progetti e 11 cambi di tracciato, otto delibere del Cipe, cinque successive valutazioni di impatto ambientale, e sette trattati e accordi internazionali, l’ultimo dei quali ratificato dai due parlamenti. Attualmente sono stati scavati circa 24 km di galleria su 162 totali, e 65 km circa di prospezioni. Sono già stati investiti oltre 1,4 miliardi in studi, progetti ed opere finanziati per metà dall’Unione Europea e al 25 per cento a testa tra Italia e Francia. L’Europa ha inoltre già assegnato una prima tranche di 813 milioni di euro di finanziamento, nell’ambito del programma Tent-T 2015-2019, per i lavori definitivi a finanziamento del 40 per cento dei costi sostenuti nel periodo. 
L’Italia ha già speso oltre 400 milioni che andrebbero persi. E a questo si sommerebbero gli oltre 800 milioni di fondi europei che verrebbero meno all’Italia, pur risparmiando – essendo fondi di cofinanziamento- la cifra analoga che il nostro Paese avrebbe dovuto spendere. Non c’è nessun meccanismo automatico di penale da pagare all’Unione Europea o alla Francia, in caso di recesso non concordato dell’Italia. Ma resta il fatto che entrambe, Parigi e Bruxelles, potrebbero decidere di rivalersi sull’Italia chiedendo il pagamento di danni a fronte del miliardo circa già speso in lavori e progetti sin qui. A questo si aggiungerebbe la possibile ma scontata rivalsa delle aziende che lavorano in Italia alla realizzazione del progetto che è in fase esecutiva, visto che i cantieri andrebbero chiusi e gli occupati resterebbero senza lavoro. Il conto del danno monetario approssimativo veleggia dunque verso la cifra dei 2 miliardi, se si comprendono gli 800 milioni di fondi europei rifiutati. 
Ancora nel giugno scorso, Confindustria del Piemonte e alcuni economisti dei trasporti sottolineavano che, a fronte dei 5,4 miliardi di quota italiana ed europea della Tav, le ricadute della produzione indiretta e dell’indotto connesso alla realizzazione dell’opera portavano ad un totale di 11,3 miliardi, con un rapporto tra Pil prodotto e spesa sostenuta dall’Italia di quasi 4 a uno. Spalmato nel tempo, l’impegno finanziario diretto dell’Italia per realizzare la tratta internazionale della Torino-Lione – tunnel di base e stazione internazionale di Susa – tra il 2020 e il 2027 raggiungeva infatti circa 350 milioni all’anno, a fronte di un aumento del Pil nazionale pari a 1.320 milioni. Con un margine positivo di 970 milioni.
Tuttavia è anche vero che le stime di traffico sulla Tav, a fronte dell’ancora non raggiunta saturazione della linea attuale se potenziata, dividono da 20 anni gli economisti dei trasporti nel nostro paese. L’interscambio commerciale tra Italia e Francia è di oltre 70 miliardi annuali, con un saldo attivo di 10 miliardi per l’Italia. E più di 42 milioni di tonnellate di merci trasportate lungo l’asse dei due paesi ma per il 90% su gomma. Non è certo la linea ferroviaria litoranea verso Genova a poter consentire un potenziamento dei treni merci. 
Resta che l’Italia senza grandi opere non si capisce come possa far crescere il suo Pil. E tuttavia, se scambio tra Lega e Cinque Stelle dovrà essere dopo o sì al Tap, la Tav può essere la vittima potenziale numero uno. Perché alla Lega interessano prioritariamente molto più la Pedemontana Lombarda, quella Veneta, e l’Ata Velocità ferroviaria verso il Nordest. Anche se solo pochi giorni fa, il 25 ottobre, la Commissione Trasporti della camera ha votato il no dei Cinque Stelle all’Alta Velocità Venezia -Trieste e ai 7,5 miliardi di suoi costi previsti. Non sarebbe la prima volta, che l’accordo tra i leader dei due partiti smentisce i propri gruppi parlamentari.
Ultimo aggiornamento: 07:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA