Risposte urgenti/ Violenza inaudita, rafforzare lo scudo di militari e agenti

Sabato 27 Luglio 2019 di Massimo Martinelli
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L’agguato vigliacco che si è consumato l’altra notte nel pieno centro di Roma, a due passi dal Palazzaccio che dovrebbe essere il monumento della legalità, ha portato via un leale servitore dello Stato e ha tolto ad ognuno di noi alcune certezze.

La più importante riguarda la serenità con la quale i romani e i turisti che scelgono Roma per una passeggiata possono godere del centro della Capitale in una notte d’estate. Un’altra si riferisce al differente livello di pericolosità che abitualmente attribuiamo alle cosiddetta microcriminalità. L’ultima attiene alla necessità delle forze dell’ordine di essere messe in grado di tutelare se stesse, per garantire una efficace difesa della sicurezza pubblica.

Mario Cerciello Rega era intervenuto con un collega per risolvere una questione che gli addetti ai lavori considerano ordinaria, tanto da aver coniato la pittoresca definizione di “cavallo di ritorno” quasi a delineare una tipicità da prontuario di pubblica sicurezza. Era in borghese, non impugnava un’arma, era sicuro che sarebbe bastato qualificarsi come carabiniere. E’ stato sorpreso dalla prima coltellata, poi altri colpi, anche alla schiena, quando l’istinto di sopravvivenza l’ha portato a sottrarre gli organi vitali alla lama dell’aggressore. In quegli attimi ha provato a chiedere aiuto al collega, anch’esso annichilito dalla violenza improvvisa e ingiustificata. Forse ha rivisto gli occhi di Rosa Maria, che ha sposato 43 giorni fa. E ha chiuso i suoi sperando di rivederla sorridente al suo fianco al risveglio, in un letto di ospedale, malconcio ma vivo.

Non c’è stata una sottovalutazione, intesa come calcolo errato del pericolo: Cerciello Rega e il suo collega ha approcciato il caso con le modalità con le quali si affronta uno sbandato che scippa un passante nel centro di Roma e prova a rubare cento euro per restituire un telefonino. Uno dei tanti che ogni notte vengono portati nelle camere di sicurezza delle stazioni dell’Arma, che la mattina dopo compaiono in un’aula di tribunale e che all’ora di pranzo sono già liberi, con l’ennesima denuncia sulle spalle o una condanna che non sconteranno.
L’elemento di drammatica novità, dunque, è in questa aggressività moltiplicata al quadrato, ingiustificata e spietata. Che non tiene conto del valore della vita umana: poco importa se, come dicono le prime indagini, i protagonisti coinvolti siano cittadini americani e non sbandati extracomunitari.

E’ il dato dal quale lo Stato e le istituzioni preposte alla sicurezza pubblica dovranno ripartire dopo aver onorato la scomparsa del vicebrigadiere Cerciello Rega: esiste una nuova forma di delinquenza feroce che dietro le fattezze della microcriminalità nasconde una capacità mai registrata prima di colpire cruentemente e uccidere. E’ accaduto con il brigadiere Cerciello Rega due notti fa. Stava per succedere il mese scorso, alla fine di giugno, nella borgata di Tor Bellamonaca, quando un esagitato si è scagliato con un coltello su un poliziotto intervenuto per sedare una lite. In quel caso, l’agente Yuri Sannino, è rimasto gravemente ferito al polmone ma si è salvato.
Due casi del genere in poco più di un mese costringono ad una riflessione seria sulla necessità di tutelare al meglio tutti gli operatori della pubblica sicurezza, dagli agenti delle Volanti ai militari dell’Arma, fino ai vigili urbani che spesso si trovano alle prese con i medesimi episodi di microcriminalità cruenta di cui stiamo parlando. 

A Tor Bellamonaca Yuri Sannino, un agente esperto che aveva fatto parte delle unità antiterrorismo, aveva avuto la prontezza di estrarre l’arma, di puntarla verso il suo aggressore per poi riporla in fondina temendo rischi per le persone presenti. Due notti fa, Mario Cerciello Rega non ha avuto nemmeno il tempo di estrarre la pistola, pensando che nel centro di Roma non si sarebbe trovato di fronte un malvivente pronto a ucciderlo. Entrambi, pur nella diversità delle situazioni di cui sono stati protagonisti, avevano solo lo strumento estremo per difendersi e non l’hanno utilizzato. Altri colleghi, in altri paesi, dispongono di mezzi diversi, dai banali spray urticanti ai dissuasori elettrici. E sono dotati di microcamere che filmano gli interventi per documentarne le dinamiche. Se è vero che a Roma e nel nostro Paese la microcriminalità può uccidere è probabilmente arrivato il momento di ricalibrare anche le potenzialità difensive delle nostre forze dell’ordine. Affinché il lutto di oggi e il dramma sfiorato di un mese fa rimangano casi isolati.
 
Ultimo aggiornamento: 00:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA