Leader a confronto/ La zavorra del vinto e quella del vincitore

Martedì 28 Gennaio 2020 di Maio Ajello
La spallata è fallita. E ci sono, con estrema chiarezza, vinti e vincitori nella partita emiliana che parla all’Italia, al governo, al Parlamento. 
Una doppia zavorra pesa sui due leader, Matteo Salvini e Nicola Zingaretti, del ritrovato schema destra-sinistra. Pur sconfitto, a Salvini va riconosciuto di aver fatto competere per la prima volta il centrodestra in Emilia-Romagna, pezzo cruciale d’Italia tradizionalmente a egemonia di sinistra. E chissà avrebbe perfino potuto ottenere di più, con un novello Guazzaloca, un candidato meno divisivo, più rappresentativo e più trasversale della Borgonzoni, se avesse calibrato meglio la sua scelta. Ma Salvini non ha voluto calcolare -dovrà farlo se davvero vorrà tornare prima o poi al al governo- che esiste un elettorato moderato completamente refrattario agli show modello citofonata o al circo stile Bibbiano, dove guarda caso Bonaccini ha rottamato Borgonzoni. Salvini ha commesso un errore strategico. Ha utilizzato un format logoro, quello dell’Io contro tutti, senza ricordarsi quanto questo fu deleterio a Renzi nel referendum costituzionale del 2016. E ciò ha motivato gli avversari, lì ha rimobilitati, ha dato loro una ragione sociale e ideologica che non avevano. In più, il capo leghista ha proposto l’idea che il buongoverno e l’amministratore serio non contino niente, perché devono prevalere logiche agonistiche non legate al territorio, e questa idea è stata smentita. 
Altro che “liberazione dell’Emilia-Romagna”. Si è inoltre data l’impressione di voler lombardizzare l’Emilia-Romagna, di rendere Bologna appendice di Milano (come accade purtroppo per Torino) e di svalutare l’identità, da parte di chi insiste sempre sulle radici locali, di una popolazione orgogliosa di quel che è.
Ma - non sembri un paradosso - anche rispetto a tutto ciò, non ha molto da festeggiare il Pd. L’unica vera gioia di partito, in una vittoria che porta la firma di Bonaccini, è quella di aver ripreso buona parte del voto grillino di sinistra (in Emilia-Romagna, non in Calabria) e di aver visto resuscitare il bipolarismo. La semplificazione di tipo elettorale, destra-sinistra, aiuta i dem. Ma la foto del voto non coincide con la foto del Parlamento. Lì il corpaccione un po’ decomposto di M5S ancora esiste, anzi è maggioritario, e con questo il Pd deve fare i conti. Per Salvini lo sdrucito blocco parlamentare grillino è un ostacolo ad andare al voto, perché nessuno dei 5 stelle vuole rinunciare al seggio e tornarsene a casa. Ma per la sinistra, che si sente azionista morale del governo e adesso ne ri-detta l’agenda, il terzo polo inesistente in natura ma sopravvivente nel Palazzo risulta un fattore che condiziona e paralizza.
Come si fa a rilanciare esecutivo e partito dopo l’Emilia-Romagna, questo lo slogan zingarettiano di queste ore, in presenza di alleati ancora determinati come prima e dotati di una identità ideologica che finora ha annichilito i balbettii riformistici del Nazareno? La zavorra è una zavorra e una vittoria regionale non ne cancella il peso nazionale. Il bipolarismo in Parlamento non c’è, e mai come adesso l’Italia reale, quella misurata nelle urne, è diversa dall’Italia legale, quella rappresentata nelle istituzioni. Zingaretti, e con lui Conte ormai costola del Pd, ha il problema di questa dicotomia difficile da risolvere senza elezioni. Il passato di un’illusione, quella grillina, che vive però negli assetti di Palazzo non può che pesare su ogni tipo di progetto futuro dei dem. Impedendo loro, ammesso che lo desiderino, una spinta innovativa e inchiodandoli invece - dalla giustizia alle autostrade, per non dire dell’intoccabilità del reddito di cittadinanza - a una cultura stellata, più forte e più egemonica, pur nella estrema debolezza elettorale del movimento, di quella del partito democratico. Finora dimostratosi - e le cose non potranno cambiare, se Zingaretti vuole annettersi fino in fondo il grillismo come Grillo lo ha autorizzato a fare - tatticamente subalterna a quella degli alleati. E fino ad oggi non in grado di fare argine alle pulsioni anti-capitalistiche e giustizialiste degli alleati.
Dunque il problema per Salvini è che scricchiola il format della conflittualità e della campagna elettorale permanente. Da sostituire con una ricetta più efficace e capace di aiutare il Paese, e pienamente partecipata dai partiti alleati e da forze civiche, economiche, sociali, da Nord a Sud e non solo e sempre pervicacemente del Nord. Del resto, il voto calabrese testimonia che esiste un centrodestra caratterizzato da equilibri diversi. Tendenza che potrebbe anche essere rafforzata dalle prossime tornate elettorali nel Meridione. Mentre il problema, per Zingaretti, è che non tutta l’Italia è come l’Emilia. I dem si sono salvati piuttosto bene in questa regione, ma sono in preda a una crisi profonda nel resto del Paese, specialmente nel Mezzogiorno. Dove o sono in mano ai loro cacicchi, come Emiliano e De Luca, in Puglia e in Campania dove si voterà tra poco, oppure risultano inesistenti come in Calabria.
Impareranno i due leader dalla lezione dell’Emilia? Sarebbe opportuno. E dovrebbero ricordarsi di quanto diceva Winston Churchill: “I problemi dei vincitori sono meno dolorosi di quelli degli sconfitti, ma non meno complicati”.
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