Capitale sballottata dai governi: attende ancora una visione

Mercoledì 11 Settembre 2019 di Mario Ajello
Capitale sballottata dai governi: attende ancora una visione
È arrivato il momento di affrontare, finalmente, la questione romana. Dopo vari balletti, si è arrivati a una formulazione più organica.
Ma ancora insoddisfacente. Nella quale viene posto il nodo del nuovo statuto che dia ruolo e risorse a una città che, ospitando le istituzioni nazionali, perciò stesso ha necessità di un sostegno, e di una cura, particolare. Come accade, da parte dei governi nazionali, rispetto alle varie capitali straniere. Tutte le grandi metropoli europee fruiscono di leggi speciali in base alle quali lo Stato si accolla le spese relative alla funzione di Capitale, mentre il Comune provvede a quelle strettamente cittadine. Per Roma, invece, gli interventi speciali sono stati episodici, monchi, ritardati e insufficienti.

E' ora di cambiare. Non importa il colore politico di chi si assume la responsabilità storica di dare a Roma ciò che è di Roma. Si tratta invece di individuare con lucidità il groviglio di nodi da sciogliere. Ai palati più fini, non prigionieri dell'ideologia, si può suggerire un discorso di Mussolini del 1924, scritto in occasione del primo Natale della città, che impressiona per la sua attualità. «I problemi di Roma - osservava Mussolini - mi piace dividerli in due categorie. I problemi della necessità e i problemi della grandezza. Non si possono affrontare questi ultimi, se i primi non siano stati risoluti». I problemi della necessità significano quelli della buona amministrazione, il funzionamento della macchina per la vivibilità dei cittadini. «I problemi della grandezza - secondo Mussolini, per il quale come si sa il mito dell'Urbe è stato importantissimo - sono di altra specie. Roma non può essere solo una città moderna, nel senso ormai banale della parola. Dev'essere una città degna della sua gloria e questa gloria deve necessariamente tramandarla alle generazioni che verranno».

Stando a questo schema, oggi si può dire amaramente che né i problemi della necessità né i problemi della grandezza sono risolti. Per i primi, occorrono competenza, efficienza e capacità comunale di assicurare a chi vive a Roma e a chi gravita su Roma una fruizione piena e soddisfacente della città. La soluzione sta anzitutto nello scegliersi una classe dirigente all'altezza e si tratta di una sfida rivolta all'interno e che coinvolge i cittadini consapevoli e operosi che non possono accettare il declino. La soluzione dei problemi della grandezza è invece una sfida che avendo Roma al centro parla anche all'esterno. E sta nel fatto di avere una visione di Roma. Un'idea della Capitale nel contesto nazionale e in quello internazionale. Perché a Roma non si sta senza avere una grande idea.
La congiunzione astrale, anzi politica, è quella che vede il segretario del Pd, e azionista del governo, cioè Zingaretti, che è pure presidente della Regione Lazio. E la sindaca di Roma, la Raggi, appartiene all'altro partito forte dell'esecutivo.

Connessioni che vanno sfruttate al massimo e con velocità. E invece sembra che una timidezza bipartisan gravi sul futuro di Roma. I problemi della grandezza, oltre che legati alla visione da avere e per averla serve il contribuito di tutte le forze della città dando un calcio a quella indifferenza non solo politica che troppo ci ha penalizzato, riguardano direttamente il governo nazionale. Fino a tutto il periodo fascista le sorti di Roma furono decise più che altro dal governo centrale. E prima ancora con Crispi o con i grandi ministri quale Quintino Sella, concentratissimo su Roma, o Francesco De Sanctis che diceva «Roma è per noi non il passato ma l'avvenire», i governi liberali presero tra le mani con determinazione il destino della Capitale. Dopo di che, in molte fasi della Repubblica, così non è stato affatto, anche se agli inizi degli anni 50 De Gasperi - cattolico adulto dalla schiena dritta - arrivò a pretendere da Pio XII che non s'intromettesse nelle faccende elettorali della Capitale, cercando di imporre alla Dc le sue scelte. Lo scontro fu proverbiale. Questo per dire che, in certe stagioni, la migliore politica si è fatta carico del destino di Roma perché aveva o credeva di avere un'idea di Roma, della sua centralità, del suo valore extra moenia, della sua funzione di calamita e di faro. Ma dal balletto di questi giorni su Roma, inserirla come priorità ma anche no, puntarci ma neanche tanto e diluirne la questione nel più generale rilancio dei Comuni come se non fosse una città eccezionale, emerge una mancanza di visione su ciò che è e su ciò che deve diventare la Capitale. Specie in una fase in cui ancora grava la minaccia dell'autonomismo nordista.
Roma è stata la città che ha dato futuro al mondo e che oggi chiede un futuro, con la garanzia che lo restituirebbe generosamente tutti.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA