Israele e il disimpegno della Casa Bianca: così si favorisce l'espansionismo iraniano

Lunedì 14 Ottobre 2019
Israele e il disimpegno della Casa Bianca: così si favorisce l'espansionismo iraniano

Le tre lezioni di Eyal Tsir Coen, esperto del think tank americano Brookings e per trent'anni consigliere nell'ufficio del primo ministro israeliano, sintetizzano lo sconforto e la preoccupazione di Israele per il disimpegno di Trump dalla Siria e l'abbandono dei curdi al loro destino.

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L'isolazionismo del Presidente Usa significa molto per gli israeliani. Non a caso Benjamin Netanyahu, commemorando la guerra dello Yom Kippur del 1973 che quasi costò la sopravvivenza di Israele, pur apprezzando gli Stati Uniti di Trump che negli ultimi anni hanno spostato l'ambasciata a Gerusalemme e caldeggiato l'annessione del Golan e la politica degli insediamenti in Cisgiordania, ha tuttavia ribadito che Israele è pronto a «difendersi da solo, contro ogni minaccia». Da solo. Perché la mossa di Trump fa pensare che gli Stati Uniti potrebbero non essere al fianco di Israele nella battaglia decisiva.

Ma quali sono le tre lezioni di Eyal Tsir Coen per Brookings? La prima: «Combattiamo da soli». Il fatto è che le milizie curde hanno guerreggiato contro l'Isis per 5 lunghi e sanguinosi anni, dal 2014 al 2019. Mentre l'esercito siriano era tutto impegnato nel contrastare l'opposizione interna sunnita, i curdi già morivano per liberarsi del Califfato. Solo nel 2015 è sceso in campo anche l'esercito di Assad, spalleggiato dalla Russia.

I DUBBI
La decisione di Trump di avallare l'offensiva turca smentisce la convinzione che siano gli Usa il poliziotto globale. Di fronte a questioni di vita o di morte per i curdi, gli americani spariscono. E se facessero lo stesso con Israele? Questo l'interrogativo che si pongono a Gerusalemme. In modo discreto e invisibile, gli emissari di Netanyahu alla Casa Bianca si sono mossi per segnalare il «forte disagio». E l'intervento potrebbe avere influito sulla mezza retromarcia di Trump e l'annuncio di sanzioni alla Turchia.

La seconda lezione è una domanda che ritorna: «È finita l'idea di un nuovo Medio Oriente?». Sotto l'ombrello protettivo di un alleato affidabile come gli Usa (prima del disimpegno di Trump) era ipotizzabile un riavvicinamento tra Israele e i Paesi arabi in chiave anti-iraniana, in un simile contesto sarebbe stato persino possibile un accordo di pace israelo-palestinese. Ma la mancata reazione americana ai droni esplosivi contro gli impianti petroliferi sauditi ha fatto capire al principe Mohammed bin Salman che sarebbe meglio raggiungere un'intesa con l'Iran, magari attraverso la mediazione dei premier pakistano e iracheno, e non affidarsi completamente a Trump.

Succede così che l'isolazionismo della Casa Bianca isola pure Israele, favorisce l'espansionismo iraniano e la continuità territoriale delle milizie degli Ayatollah nell'area, e rafforza la Russia sulla scena mediorientale. Di qui la terza lezione, che per Eyal Tsir Coen va sotto il titolo «Un nuovo sceriffo in città». E chi se non Putin è questo nuovo sceriffo? Con una controindicazione per Israele: se la Russia impone in Siria la sua legge (e le batterie antimissile S-300), potrà Israele reagire prontamente alle future minacce, o dovrà coordinare le proprie azioni con lo sceriffo Putin?

L'ESERCIZIO
In conclusione, la volubilità (per usare un eufemismo) dell'alleato americano obbliga Gerusalemme a un cheshbon nefesh, un esercizio spirituale che corrisponde a «fare i conti con la propria anima».
Pro e contro. Profitti e perdite. Fare i conti con la realtà.

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