Effetto Germania: da Monaco un monito all’Europa di Juncker

Lunedì 15 Ottobre 2018 di Marco Gervasoni
Effetto Germania: da Monaco un monito all’Europa di Juncker
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La Baviera è finita. Naturalmente la seconda regione più ricca della Germania, con un Pil superiore a Grecia e Portogallo uniti, sta ottimamente né sono crollate le sue splendide città e i suoi fascinosi castelli. Ma è finita la Baviera come modello di società, che tanta parte ha avuto nel definire, a sua volta, quello tedesco. 
La Baviera era infatti miracolosamente riuscita, unica in Europa, a coniugare la società contadina con quella industriale e poi post industriale. Il suo è stato un esempio fulgido di modernismo conservatore: entrare nelle fauci della modernità e della post modernità conservando solide radici. Merito anche (e forse soprattutto) della politica e dai partiti, in particolare, che avevano edificato un sistema in cui economia e società, industria e banche, cattolicesimo, tradizione e graduale apertura al cosiddetto «progresso dei costumi» hanno convissuto armonicamente, lasciando il «Libero Stato di Baviera» indenne dalle numerose crisi che invece hanno costellato l’Europa dal 1945 ad oggi. Ora tutto questo è, semplicemente finito. I partiti che avevano costruito quel modello sono stati feriti, forse a morte. Anche se non è la prima volta che la Csu perde la maggioranza assoluta, è inedito che ciò avvenga a causa di un suo crollo a destra, cedendo elettori verso due formazioni più conservatrici, Afd e Liberi Elettori.

Il grande patron della Csu e padre del modello bavarese, Franz Joseph Strauss, diceva «mai far crescere nessuno alla nostra destra, sarebbe finita». Aveva ragione. L’altro partito cardine del sistema, anche se quasi sempre all’opposizione, era la Spd. In uno «Stato» che dopo il 1945 era diventato industriale, il partito degli operai e dei sindacati aveva giocato un ruolo ben più ampio dei voti raccolti, comunque importanti. Ora invece è già una forza residuale, un destino che rischia di estendersi a tutta la Bundesrepublik. Loro, i due netti sconfitti di ieri. Mentre i vincitori acclarati sono i Verdi e la destra conservatrice eurocritica. Come si è visto anche nelle elezioni di ieri in Lussemburgo e nelle Fiandre, gli elettori dei socialisti sembrano spostarsi massicciamente sulle forze ecologiste. Che, almeno nel caso tedesco, non vanno collocate a sinistra - i Grünen sono sempre stati fieri del loro slogan, fin dalla fondazione negli anni Settanta, «né di destra né di sinistra» (ricorda qualcosa?). Il loro ecologismo è molto automobile compatibile, e sono più europeisti, globalisti e filo immigrazione della Spd - anche perché, continuano a ripetere, gli imprenditori vogliono più immigrati. Più che una nuova sinistra, i Verdi sembrano un nuovo centro, non molto, anzi per nulla socialisti in economia. Quanto all’Afd, il risultato è altrettanto clamoroso, tanto più che nel 2013 non esisteva e il suo gruppo dirigente, anche a livello bavarese, non può dirsi di prima scelta.

Pure l’exploit dei Liberi elettori, una forza regionale molto vicina alla Afd, mostra l’impatto di un voto che solo gli sprovveduti potrebbero definire di protesta o volatile: le forze neo-nazionaliste sono lì per restare, e per crescere. Ieri abbiamo quindi assistito all’ennesima tappa della disgregazione di un ordine politico edificato da decenni: dopo Usa 2016, Francia 2017, Italia 2018, ora è la volta di Monaco, e forse, di tutta la Germania. Già, che accadrà ora a Berlino? E’ facile prevedere che la batosta della Spd renderà la Grande Coalizione ancora più rissosa, ingenerando così un effetto a catena: più la Groko governa male più gli elettori abbandonano i suoi partiti, più questi vanno in fibrillazione e finiscono per governare peggio. Una posizione ingestibile per Merkel, la cui sconfitta dell’avversario interno Seehofer sembra la classica vittoria di Pirro. Ciò non vuol dire che Angela cadrà; anche se è vieppiù detestata dai dirigenti della Cdu, nessun cancelliere in Germania è stato mai accoltellato dal proprio partito, né la Spd sarà cosi suicida da uscire dal governo adesso.

Però è difficile prevedere, se le elezioni europee di maggio dovessero confermare il crollo socialista, una lunga vita alla Grande Coalizione. La débâcle bavarese della Csu avrà però un effetto anche sulla futura Ue: la candidatura del bavarese Manfred Weber a presidente della prossima commissione è ora indebolita nel suo stesso campo, mentre un successo generalizzato delle forze verdi a maggio potrebbe tentare l’ala «progressista» dei popolari di comporre un’alleanza con socialisti e verdi. Una scelta che spaccherebbe il Ppe e che, qualora riuscisse, porterebbe comunque a una Ue ancora più paralizzata di quanto non sia quella odierna. Certa è una cosa: la Commissione Ue e il suo «boss», Jean Claude Junker, ieri in Lussemburgo con il suo partito crollato al livello più basso da settant’anni in qua, appartengono già al passato. 
Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 15:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA