Londra e Bruxelles/ La paralisi al tempo dell’Europa senz’anima

Giovedì 17 Gennaio 2019 di Marco Gervasoni
Che Theresa May salvasse sé stessa e il suo governo dalla mozione di sfiducia dell’opposizione era prevedibile e previsto, nonostante la disfatta del giorno prima, numericamente la più rovinosa mai subita da un premier negli ultimi due secoli. 

Per forza, il voto contro l’accordo aveva fatto convergere tre gruppi diversi, i Laburisti, i Conservatori pro brexit secca (capitanati da Boris Johnson) e i non molti Tories favorevoli a restare nella Ue. Ma siccome è molto più facile unirsi nel distruggere che nel costruire, queste tre compagini non sono in grado di proporre un’alternativa alla May. Ecco quindi i Conservatori tornati a casa, a votare la fiducia, perché il dramma è di tipo pirandelliano, un così è se vi pare, in cui tutti cantano vittoria perché potrebbe verificarsi lo scenario a ognuno più gradito; persino la premier, ora, è un po’ più legittimata a riprendere a discutere con la Commissione Ue. Ammesso poi lo voglia, visto che ufficialmente sarebbe restia a chiedere una proroga, rispetto alla data di uscita del 29 marzo, dilazione che la Ue concederebbe, ma senza toccare l’accordo. 
Il pirandellismo vige, tanto per cambiare, anche a Bruxelles, anche lì domina un gioco delle parti, un barocco gioco di specchi, un dire una cosa per pensarne un’altra.

Per esempio la divisione granitica della Ue lo è solo in apparenza: è probabile che la Francia a questo punto ritenga preferibile un’uscita secca senza accordo, e da fare subito, mentre alla Germania un’ipotesi del genere sembra catastrofica, e forse lo è per i suoi interessi commerciali. La realtà è che la Brexit è la vera metafora della palude di sabbie mobili in cui si trova immersa la politica europea, in cui chi sta fermo, nella conservazione dello status quo, affonda, ma rischiano di inabissarsi anche quelli che si muovono, che vogliono strappare. Lo stesso sentimento di appartenenza all’Unione non sembra scatenare più né gli odi di un tempo, né entusiasmi. Sono scettici, o perlomeno non sanno come fare e dove andare, quelli che vorrebbero uscirne, stanchi di cercare le chiavi di una prigione, dopo che erano convinti di averle trovate. Quelli che restano nella «casa comune» ci stanno più che altro con scarso trasporto, perché fuori chissà cosa c’è, ma intanto le travi interne cominciano a flettersi e i muri a creparsi. Ogni decisione, ogni passo intrapreso, potrebbe produrre un effetto e al tempo stesso il suo contrario. Ad esempio, è chiaro che se l’uscita della Uk dalla Ue fosse rimandata a fine anno, Londra dovrebbe partecipare alla elezioni europee. Ma questo da un lato rafforzerebbe paradossalmente il blocco europeista di Strasburgo, perché il Labour eleggerebbe moltissimi deputati. Nello stesso tempo tuttavia incrementerebbe la pattuglia euro scettica, se l’Ukip, benché orfana di Farage, rinascesse dalle sue ceneri: e comunque i Conservatori destinati al Parlamento europeo sarebbero in maggioranza euroscettici. Ancora più confusa e senza senso l’ipotesi del cosiddetto secondo referendum. Che non sarebbe neppure risolutivo, perché un’eventuale (e tutta da verificare) vittoria dei sì, cioè restare nella Ue, non avrebbe effetto concreto; sempre il Parlamento dovrebbe decidere. Ma soprattutto un nuovo referendum, cioè l’esplicita sconfessione del voto popolare, creerebbe un precedente gravissimo, inedito non solo nella storia britannica ma in quella della democrazia occidentale (mentre l’abbiamo intravisto diverse volte, nei paesi africani). Su questioni come queste scoppiano le guerre civili, e gli inglesi ne fecero una, sia pure quattro secoli fa. In una situazione normale la via più logica sarebbe un ritorno al voto per eleggere un nuovo parlamento, con una campagna in cui i vari partiti si dichiarassero pro o contro la Brexit. Senonché, la divisione profondissima che solca i due principali (Corbyn vorrebbe uscire, per arrivare al potere e applicare il suo programma radicale senza i lacci di Bruxelles: ma non può dirlo) condurrebbe anche qui ad una campagna ambigua, e pirandelliana più di tutte. Se nella Ue passerà la linea Merkel, a favore della revisione dell’accordo con Londra, i giochi si riapriranno. Altrimenti la prospettiva più probabile resterà quello di un’uscita senza accordo, magari solo posticipata, per presa di sfinimento di tutti, brexiter, leavers e agnostici-disinteressanti: che, tra l’altro, paiono ormai essere la maggioranza.
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