Tre miliardi di Pil e cinquantamila posti di lavoro

Martedì 5 Novembre 2019 di Gianfranco Viesti
Che succede se l'Ilva chiude? L'impatto negativo sull'economia nazionale sarebbe molto significativo: sono in ballo complessivamente cinquantamila posti di lavoro; fortissimo quello sulla Puglia: almeno il 3% del suo Pil: che valore, infatti, ha la produzione di acciaio a Taranto in base, quantificata al piano industriale che ArcelorMittal si era impegnata a realizzare? E' possibile rispondere con precisione a questa domanda, anche grazie ad un dettagliato studio di impatto realizzato dalla Svimez poco più di un anno fa. Sotto il profilo delle quantità, la produzione Ilva di Taranto e dei due impianti liguri (Genova e Novi) si dovrebbe attestare per i primi anni a otto milioni di tonnellate all'anno, pari a poco più di un terzo di tutto l'acciaio realizzato in Italia, con una prospettiva di aumento dopo il 2023 con ulteriori due tonnellate a Taranto. Si tratta dunque di una quota rilevante di un importante settore della manifattura nazionale.

Sotto il profilo degli investimenti, la nuova società si era impegnata per 2,4 miliardi di euro, a cui va aggiunto oltre un miliardo di spese destinate alla bonifica. Questi investimenti attiverebbero un valore economico complessivo di oltre 3 miliardi di euro all'anno. La maggior parte di questo valore aggiunto sarebbe naturalmente localizzato in Puglia, per circa 2,3 miliardi. Per avere un termine di paragone, si consideri che il Pil di quella regione nel 2017 è pari a poco meno di 70 miliardi. Quindi parliamo, come solo effetto diretto degli investimenti nell'acciaieria tarantina, di circa il 3% di quanto si realizza in Puglia ogni anno. Quasi un miliardo di Pil sarebbe a beneficio del resto del Paese: questo è molto significativo, perché le produzioni tarantine e liguri necessitano di beni e servizi realizzati nel resto del Paese. Cioè diffondono i loro effetti sull'intero territorio nazionale.

Naturalmente questi effetti si ripetono ogni anno: nell'arco di un quinquennio si tratta di 15 miliardi di euro, cioè circa l'1% dell'intera produzione annuale dell'Italia. Va anche considerato che la sola Puglia oggi (2018) esporta acciaio per circa mezzo miliardo di euro.
Infine, sotto il profilo dell'occupazione parliamo per la sola Puglia di circa 20.000 unità direttamente collegati alla produzione, interne ed esterne allo stabilimento. Ma ad esse vanno aggiunte altre 11.000 unità nei beni e servizi indotti dalla siderurgia, come i trasporti o l'energia. Il maggiore reddito di queste persone si traduce poi un migliore tenore di vita e quindi in maggiori acquisti nell'intera economia regionale: la Svimez l'anno scorso quantificava questo effetto indotto in circa 11.000 ulteriori posti di lavoro.

Per dirla in altri termini, se l'Ilva chiudesse, la produzione cessasse e i dipendenti si trovassero senza stipendio, il costo per la Puglia sarebbe di poco più di 42.000 posti di lavoro; in una regione dove l'occupazione totale è di circa un milione e duecentomila unità significa oltre il 3%. Agli effetti occupazionali in Puglia sono da aggiungere quelli nel resto del Paese, poco meno di diecimila. Ancora una volta con una stima di larga massima diciamo che sono in ballo circa cinquantamila posti di lavoro in tutta Italia, sommando quelli diretti, indiretti e indotti. A queste cifre va naturalmente aggiunto il costo non quantificabile ma molto grande della scomparsa di grande cultura e tradizione industriale, con tutto quello che ciò significa per un territorio: la dismissione di Bagnoli è lì a ricordarcelo.

E poi? Che succederebbe di tutti gli attuali dipendenti? Quanti e quali ammortizzatori sociali bisognerebbe mettere in campo? E quali effetti sociali, culturali, psicologici avrebbe la presenza di migliaia e migliaia di persone senza lavoro in un'area ristretta intorno a Taranto? E quanto costerebbe alle casse pubbliche, ancora, la manutenzione e auspicabilmente la progressiva bonifica dell'immenso territorio oggi coperto dall'acciaieria? Quanti decenni sarebbero necessari?

Tutte domande che trovano facilmente risposte assai preoccupanti, che convergono in una semplice valutazione finale. L'Italia non può permettersi, da nessun punto di vista, un collasso industriale come la chiusura del siderurgico tarantino.
© RIPRODUZIONE RISERVATA