Lo Spacca-Italia/ Autonomia, le risposte alle bugie targate Nord

Martedì 12 Marzo 2019 di ​Gianfranco Viesti
Meno di un mese fa, il 15 febbraio, si è rischiata l’approvazione di un provvedimento, definito a giusta ragione lo “Spacca-Italia”, che avrebbe radicalmente mutato in peggio il volto del nostro Paese, senza che la stragrande maggioranza dei cittadini ne sapesse nulla.

Si era infatti arrivati molto vicini alla firma da parte del presidente del Consiglio di Intese con le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sulle “autonomie rafforzate”; che avrebbero trasferito loro enormi poteri, disarticolando lo stato nazionale ed altrettanto cospicue risorse finanziarie, sottraendole agli altri italiani. Il tutto, vincolato solo ad un voto “prendere o lasciare” di un Parlamento condizionato dalla necessità di sopravvivenza del governo. Trasferendo poi tutti i poteri attuativi a Commissioni paritetiche extraparlamentari governo-regione.

Per un insieme di motivi questo non è avvenuto. E la discussione pubblica è tornata a inabissarsi, sovrastata dai temi del giorno, ultima la Tav. Ma il tentativo di approvare il provvedimento è destinato a riemergere, anche all’improvviso, a seconda delle mosse tattiche dei due partiti di governo. Forse già prima delle elezioni europee; forse subito dopo. Il pericolo dello “Spacca-Italia”, è tuttora molto forte. Per fortuna, il 15 febbraio non è trascorso invano.

Si è ad esempio rafforzata la convinzione, nelle forze politiche e nelle stesse Presidenze delle Camere (e, per quel che è dato sapere, nella stessa Presidenza della Repubblica, suprema custode dell’unità nazionale) che il percorso parlamentare debba essere radicalmente diverso dal rapido blitz ipotizzato. Il Parlamento ha il dovere, ancor prima che la potestà, di discuterne dettagliatamente i contenuti e gli aspetti finanziari. 

Nonostante la cortina fumogena che da più parti si continua a sollevare (ad esempio, come ha fatto recentemente il presidente della Lombardia, parlando di «sfida per la modernizzazione, per eliminare le sacche di inefficienza che impediscono di sprigionare risorse»), il provvedimento può stabilire la regionalizzazione della scuola italiana e dei suoi docenti, la fine del servizio sanitario nazionale, il passaggio alle Regioni di strade ed autostrade e del diritto di veto per la loro realizzazione; e tantissimo altro ancora. Quello che c’è in ballo è un enorme spostamento di potere e di denari verso le giunte regionali che tanto premono per l’approvazione; possibilmente prima che gli italiani si rendano ben conto delle sue conseguenze. Ma può il Parlamento non discutere approfonditamente del futuro della scuola e della sanità italiana, delle politiche industriali, infrastrutturali, del lavoro, dell’ambiente, dei beni culturali?
 
Uno dei tanti aspetti di questa vicenda è l’atteggiamento liquidatorio verso ogni obiezione da parte dei suoi promotori. Chi si oppone è semplicemente «un cialtrone» per il presidente della Lombardia; «chi dice che si tratta di una secessione mascherata dice una scemenza», per il presidente del Veneto che aggiunge: «perché è ignorante, non ha nemmeno letto il progetto e non conosce la Costituzione». 
Proprio questo è un punto interessante. Tante carte, infatti, ci sono. Le determinazioni del Consiglio regionale del Veneto del novembre 2017, ad esempio, con la dettagliata richiesta di poteri sterminati e di trattenere addirittura i 9/10 del gettito fiscale in Regione; o la scellerata Pre-Intesa firmata nel febbraio 2018 dal sottosegretario Bressa a nome del governo Gentiloni, che stabiliva al suo articolo 4 che i cittadini che vivono nelle regioni più ricche (con maggiore “gettito fiscale”) hanno per questo motivo diritto a più servizi pubblici rispetto agli altri italiani. 

O i “Testi Concordati” dei primi articoli delle Intese del 25 febbraio, sul sito del Dipartimento degli Affari Regionali, che continuano a stabilire condizioni di grande favore per le Regioni a maggiore autonomia (garanzia della spesa media pro-capite e dell’incremento del gettito fiscale) a danno delle altre, data l’invarianza supposta della spesa pubblica totale. Ma questo è, ad esempio, uno dei punti ancora misteriosi: documenti del Mef, mai resi pubblici ufficialmente, indicano che vi è anche l’ipotesi di un incremento della pressione fiscale. Così come ancora segreti sono tutti gli articoli che toccano le 23 materie teoricamente oggetto della maggiore autonomia, anche se questo giornale ha documentato approfonditamente i contenuti delle bozze della trattativa. Si dice perché manchi ancora l’accordo con alcuni Ministeri, a causa di «qualche bugia che viene raccontata dai funzionari del ministero», secondo il presidente del Veneto. Ma, anche se così fosse, nulla impedirebbe di rendere noti ai parlamentari e ai cittadini tutti i complessi articolati relativi alle materie già definite. Perché non lo si fa? 

Forse perché si avrebbe ulteriore conferma che non si tratta di una sfida «per dimostrare chi è capace di amministrare e chi dovrebbe andare a giocare a bocce», come sostenuto dal presidente della Lombardia, ma di un tentativo molto serio di disarticolare i grandi servizi e le infrastrutture pubbliche del nostro Paese, e acquisire una fetta più grande delle risorse nazionali, a danno degli altri. Una vera e propria “secessione dei ricchi”, in base alla quale le tre Regioni più forti del Paese vogliono configurarsi come delle vere e proprie Regioni-Stato all’interno dell’Italia, eliminando una parte sostanziale della legislazione nazionale di cornice, riducendo drasticamente il ruolo della Capitale, e dotandosi di più ampie risorse finanziarie. Per il futuro del Paese, è forse più importante conoscere nei particolari e discutere seriamente questo progetto, che discutere di chi dovrebbe giocare alle bocce.
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