Legalità ferita/I sussidi agli abusivi che calpestano i diritti

Venerdì 3 Luglio 2020 di Carlo Nordio
Con un emendamento approvato ieri, la commissione Bilancio della Camera ha esteso il “reddito di emergenza”. Lo ha esteso ai nuclei in difficoltà economiche che occupano abusivamente degli immobili, purché vi siano dei minori, o dei malati gravi, o dei portatori di handicap. La prima reazione davanti a una simile scelta è di umiliante disagio e quasi di sdegno, perché in un Paese civile, che da anni spreca miliardi di euro nelle attività più inutili o persino stravaganti, i poveri, i malati e in genere gli invalidi non dovrebbero invocare la carità provvisoria del governo, perché avrebbero diritto a quella esistenza dignitosa garantita dalla Costituzione e imposta dall’umana solidarietà. Il fatto che si debba aspettare un’emergenza per soccorrere chi rischia comunque di morire di fame, magari con dei moribondi a carico, suona come un mortificante fallimento per chi da anni si vanta delle magnifiche sorti e progressive del cosiddetto Stato sociale.

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La seconda reazione è tuttavia di sconcerto. Fermo infatti il concetto già espresso che la sopravvivenza non è un beneficio estemporaneo ma è un diritto, collegare questa nuova elargizione con l’illegalità manifesta di chi occupa abusivamente una casa non sarà un’istigazione a delinquere ma è certo il trionfo del ridicolo. Perché se è vero che il povero resta tale sia che abiti in una catapecchia di sua proprietà, sia che viva precariamente da clochard, sia che occupi abusivamente un’abitazione altrui, è altrettanto vero che in quest’ultimo caso l’illegalità diventa una sorta di “benefit”, come oggi si dice, che grava sui contribuenti onesti. Molti dei quali, soprattutto se a reddito basso e condannati a una tassazione demenziale, si domanderanno se davvero valga la pena di tirar la carretta “mugugnando e sudando sotto una vita gravosa ”quando potrebbero porvi fine se non proprio con un pugnale almeno con qualche espediente furbesco: come ad esempio l’obiezione fiscale o, meglio ancora, abbandonando ogni attività produttiva per godersi, si far per dire, la vita, alle spalle dei pochi che continuano a lavorare. La soluzione contenuta nel decreto, del resto, non ci sorprende più di tanto. Essa si inserisce in quella visione del mondo grossolanamente pauperistica dove i reciproci diritti e doveri dello Stato e dei cittadini si confondono in una buia notte indifferenziata, dove il rispetto delle regole è diventata un’opzione puramente metafisica.

Basti ricordare che tempo addietro un illustre prelato si calò a Roma nell’intercapedine di un palazzo abusivamente occupato per ripristinare l’energia elettrica interrotta per morosità degli utilizzatori.
Si trattò di un vero e proprio reato, anche perché furono rimossi e danneggiati i sigilli, ma non pare che la vicenda abbia avuto un seguito. Il principio dell’ “omnia munda mundis”, tutto è puro per i puri di cuore, si è convertito in quello che tutto è lecito per chi agisce per ciò che ritiene una buona causa. Un’ ultima considerazione. Assimilare i disabili e i malati gravi ai minori, come fa il decreto, è oltretutto irragionevole. Poiché la maggiore età arriva a diciott’anni, avremo famiglie magari in ottima salute che invocheranno il sussidio solo perché la loro abitazione - occupata abusivamente - è rallegrata dalla freschezza della gioventù. Mentre ci sono fior di attività che potrebbero benissimo esser esercitate - come già sono - da diciassettenni vigorosi, motivati e retribuiti. Ma nella sua caotica nobiltà assistenziale il decreto ha voluto inserire tutti i cosiddetti soggetti deboli, anche quando, a ben vedere, tanto deboli non sono. Se c’era un modo per dimostrare una rassegnata sfiducia in una ripresa fondata sull’iniziativa individuale, e sul rispetto delle regole, questo provvedimento ne ha dato un esempio funesto.
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