Italia a due velocità/ La ripresa che è partita e i territori da sostenere

Venerdì 4 Giugno 2021 di Gianfranco Viesti

Con il sensibile miglioramento della pandemia (e incrociando le dita sul futuro), la flottiglia delle imprese italiane sta per riprendere a navigare in mare aperto.

Un mare in cui si incrociano correnti molto diverse. 

Da un lato la nostra economia potrebbe finalmente sperimentare una ripresa a ritmi mai visti da decenni, in particolare grazie all’aumento dei consumi interni legato al rafforzamento della fiducia. Come si è già intravisto nell’estate 2020, i ritmi di questo rimbalzo potrebbero anche sorprendere positivamente. Potrebbero essere sostenuti, auspicabilmente già dal secondo semestre, dai primi impatti del Piano di Rilancio. Progressivamente tutto ciò potrebbe rimettere in moto gli investimenti: in capacità produttiva e in nuove assunzioni. E da fiducia potrebbe nascere ulteriore fiducia: considerando l’enorme impatto psicologico del covid, questo può essere molto importante.

Dal versante opposto, tuttavia, le nostre imprese portano ancora con sé i segni della pandemia. Il recente, assai ben documentato, rapporto curato da Confindustria e Cerved ci consente di misurarli. Nel corso del 2020 il sistema imprenditoriale italiano ha sperimentato una vera e propria “gelata”: è crollata la natalità di nuove aziende ma ben poche – grazie ai provvedimenti di emergenza – hanno ad oggi chiuso o sono fallite.

A causa del crollo (quasi il 10%) delle vendite, il loro patrimonio si è però consumato; ne escono più indebolite di quanto fossero nel 2019. Ben un sesto delle piccole e medie imprese è dunque “a rischio”; con il necessario interrompersi dei ristori, una parte di esse può fermarsi definitivamente; una ulteriore caduta dell’occupazione di alcune centinaia di migliaia di unità nei prossimi mesi, specie al Centro-Sud, non può essere esclusa. Ed è bene ricordare che il sistema delle imprese italiane viene da un decennio molto difficile, da un 2019 molto modesto: non basta affatto tornare a “prima della pandemia”.

Quale sarà l’effetto combinato di queste diverse correnti nessuno può dirlo, per il semplice motivo che questa crisi è stata profondamente diversa, nella sua genesi e nel suo procedere, da tutte le precedenti recessioni. E il suo evolversi attuale conserva margini ampi di incertezza. Come già detto, la ripresa può sorprenderci positivamente. Ma il futuro può anche essere velenoso, e produrre in particolare un effetto assai negativo: lo sgranarsi della flottiglia delle imprese; e quindi dei luoghi dove esse operano. 

La crisi, per le sue originali caratteristiche, è stata assai selettiva: si è portata via, ci dice il Rapporto, il 66% del fatturato 2020 delle piccole e medie imprese che organizzano convegni, il 55% delle agenzie di viaggi; il 50% per gli alberghi e il 40% dei ristoranti, il 34% dei cinema. Mentre ha favorito la distribuzione alimentare ha colpito duramente i negozi di abbigliamento e calzature. E non è affatto detto che la ripresa abbia gli stessi ritmi e gli stessi tempi in tutti i casi: potrebbe essere più incerta proprio in alcuni degli ambiti più colpiti. Comportamenti di vita e di consumo potrebbero essere cambiati strutturalmente (si pensi alla diffusione del commercio elettronico): e questo potrebbe contare, molto.

La stessa chiave di lettura dei settori, seppure meno accentuata, vale anche per i territori. Proprio per la differente composizione settoriale delle economie regionali, la crisi ha colpito di più le imprese del Centro Italia, Toscana inclusa, per la combinazione delle difficoltà del turismo e della moda. E le prospettive di ripresa appaiono ugualmente differenziate: esse possono essere migliori per le aree con più industria (che da tempo ormai gira a pieno regime e si giova della ripresa del commercio internazionale), più incerte per quelle più terziarizzate, più lente per quelle turistiche; decisamente migliori per le aree già con un tessuto di imprese più forti. 

L’Italia ha conosciuto negli anni Dieci conferme e novità nelle sue dinamiche territoriali: le difficoltà del Sud si sono accentuate, ma il Centro-Nord si è sgranato, lasciando più indietro il “vecchio” Nord-Ovest piemontese e ligure e soprattutto gran parte dei territori del Centro. Un numero può raccontarlo: se nel 2019 il numero delle piccole e medie imprese italiane, nonostante la grande crisi era comunque maggiore del 7% rispetto al 2007, nelle regioni del Centro era aumentato di meno del 3%. Il rischio è che si torni a quelle dinamiche.

Per restare nella metafora marinara di apertura, la ripresa non sarà come un’alta marea che solleva tutte le barche; può accentuare disparità già visibili negli anni Dieci e nella pandemia. Sono opportune iniziative settoriali, come quelle per il turismo, e come le tante previste nel Piano di Rilancio. Ma è necessaria anche una attenta progettazione territoriale della ripresa: per integrare area per area i diversi interventi settoriali previsti dal Piano in modo da accrescerne le sinergie e gli effetti d’insieme, e disegnare così un futuro decisamente diverso dal recente passato; per impedire che le risorse, specie quelle a bando, possano naturalmente concentrarsi nelle aree più forti e più in grado di assorbirle più facilmente. 
In tutte le diverse tipologie di territori del Paese: nelle aree interne dell’Appennino come nelle medie città, specie quelle del Centro-Sud con meno industria e terziario avanzato. E nelle grandi città più indebolite dagli anni Dieci: a cominciare da Torino, Roma e Napoli. Alla vigilia di nuove consiliature che non possono limitarsi a manutenere l’esistente e a contenere il disagio sociale, ma devono disegnare e costruire progressivamente trasformazioni difficili, profonde.

Salutiamo con grande piacere, dopo le tante ansie dell’ultimo anno e mezzo, la probabile ripartenza della flotta. Ma curiamo che rimanga compatta nel suo procedere.
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