I commissari per i lavori nella Capitale/ Quel ritardo sulle grandi opere moltiplicatore di crisi economica

Giovedì 3 Dicembre 2020 di Marco Simoni

Da anni ormai la ripresa degli investimenti pubblici è uno dei principali problemi economici del Paese, al tempo stesso quello che appare di più difficile soluzione ma non per mancanza di risorse, per la difficoltà a spenderle, le risorse.

Per questa ragione va salutata positivamente ma con grande impazienza la presentazione al Parlamento della lista delle grandi opere da commissariare di cui oggi il Messaggero dà conto. Si tratta di un obbligo dello “Sblocca cantieri” che si concluderà con due decreti del presidente del Consiglio: uno, appunto, per identificare le opere; l’altro per nominare i commissari. A quel punto queste quaranta e passa opere avranno una via preferenziale per completarsi. 


E’ importante rendersi conto, però, perché il tema è così importante e riguarda la vita di tutti di noi. Prendiamo l’esempio di Roma, che vede tre opere principali nella lista: la Metro C, la Roma-Pescara, il completamento dell’anello ferroviario. Ho una buona memoria e ricordo distintamente che della Metro C e dell’importanza dell’anello ferroviario si parlava come di opere urgenti durante la campagna elettorale del 1993 quando venne eletto Francesco Rutelli per la prima volta. Questo ci fa capire che il tema degli investimenti e della loro esecuzione ne racchiude infatti tre, distinti e complementari, e per questo è così importante. 


In maniera involontariamente simbolica, questi temi sono stati affrontati pochi mesi prima dello scoppio della pandemia di Covid, nell’ottobre 2019, dalla Banca d’Italia che pubblicava uno studio tra le Questioni di Economia e Finanza (il 520, di Busetti e co-autori), sugli investimenti pubblici in Italia. Il simbolismo sta nel fatto, ovviamente, che se questi temi erano di importanza cruciale per l’economia italiana prima del Covid, oggi lo sono ancora di più perché non bisogna solo spingere in avanti la nostra economia, bisogna ricostruire un Paese e in parte un modello economico.


Il primo tema è quello appunto della crescita. Osservando il decennio 2008-2018 si vede come gli investimenti, o meglio la loro mancata ripresa al livello pre-crisi, sia il fattore fondamentale per cui il nostro Paese ha continuato a crescere meno degli altri, non riuscendo mai a recuperare pienamente la crisi economica. Detto in parole povere: gli investimenti creano lavoro, fanno muovere l’economia.


Ma il secondo tema, forse ancora più importante, è che gli investimenti in opere pubbliche hanno quello che gli economisti chiamano un effetto macroeconomico di medio e lungo periodo. In altre parole: sono cruciali per aumentare la produttività che in Italia è anemica da ormai due decenni. Pensate alle opportunità che non si sviluppano a Roma a causa delle infrastrutture insoddisfacenti. Pensate quanto è complesso muoversi nella città, tra poli di ricerca e aziende che naturalmente stanno spesso lontane dal centro geografico, pensate che occasioni in più potrà avere anche il Sud quando le opere della lista del Mit, ad esempio le tratte di Alta Velocità oggi praticamente assenti, saranno completate. 


Il terzo tema naturalmente è la vita delle persone, ed è un tema di uguaglianza, di dignità, che poi diventa anche economico. Oggi troppe zone della Capitale soffrono di carenze infrastrutturali, dai trasporti agli asili nido, e sono proprio le zone maggiormente abitate da famiglie giovani, con figli bisognosi di opportunità, genitori che devono combinare la cura della famiglia con i giusti impegni lavorativi. Migliorare loro la vita, aumentare le possibilità di lavoro femminile che è il primo penalizzato dalla mancanza di infrastrutture, significa essere tutti più ricchi, significa poter godere meglio del talento di tutti.


Diventa chiarissimo allora perché la crisi italiana e la crisi di Roma (che come ripetiamo ormai da tempo sono la stessa cosa perché la seconda è la causa principale della prima) dipendono molto dai ritardi delle grandi opere. Dal 2009 al 2017, spiega la Banca d’Italia, i tempi medi di realizzazione delle opere sono notevolmente aumentati, raggiungendo anche i 17 anni per opere sopra i 100 milioni di euro! Le ragioni come sappiamo sono soprattutto burocratiche, e come sappiamo non sono omogenee sul territorio.


La conclusione chiave della Banca d’Italia che ci interessa sottolineare oggi, tuttavia, è che il ritardo dell’Italia sugli investimenti pubblici non dipende dalle risorse, ma dipende dalla effettiva spesa e realizzazione delle opere. Il risultato è un Paese che dai trasporti, alle infrastrutture digitali, allo stock di capitale pubblico, è in un ritardo che è impellente colmare. 
Ricordiamolo: la lista di grandi opere di cui stiamo parlando oggi è precedente al Covid, e le risorse sono già state stanziate dunque vanno solo impiegate più rapidamente possibile. Questa però deve anche essere l’occasione per improntare strumenti che consentano una simile rapidità di spesa anche e soprattutto per le risorse del Recovery Fund che devono generare, nei modi descritti sopra, crescita economica a vantaggio della prossima generazione di italiani ed europei.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche