Inerzia da Covid/Investimenti congelati, così il Paese è senza futuro

Domenica 1 Novembre 2020 di Romano Prodi
Inerzia da Covid/Investimenti congelati, così il Paese è senza futuro

Debbo confessare che, negli ormai lunghi anni nei quali mi sono dedicato a riflettere sullo stato dell’economia italiana, non mi sono mai trovato nella situazione di difficoltà e di incertezza in cui oggi mi trovo.
Nei giorni scorsi avevamo potuto tirare un sospiro di sollievo nel constatare che il Pil aveva dato un segnale di ripresa più forte di ogni previsione.

Ci stavamo perfino comportando meglio della maggior parte degli altri Paesi europei. Parlo naturalmente non di dati positivi in assoluto, ma del miglioramento rispetto al disastro del trimestre precedente. 


Questo ha spinto, per un attimo, a pensare che questo brutto 2020 poteva chiudersi con una caduta del Pil attorno all’8%, cioè con un crollo inferiore a quello stimato in precedenza. Questo minore pessimismo era confermato da altri indicatori, come il consumo di energia elettrica, ormai al livello dello scorso anno.
Il respiro di sollievo è tuttavia rimasto solo un respiro perché, nel frattempo, è arrivata la seconda ondata del Covid-19. Nessuna previsione può essere ora fondata su basi precise, anche perché questa ripresa della pestilenza sta sconvolgendo, in molti casi con maggiore intensità, anche i Paesi europei con i quali abbiamo i più stretti rapporti economici.

Il futuro dipenderà quindi dall’evoluzione della pandemia e dalla strategia di intervento dell’Europa e dei governi che, a differenza di quanto sarebbe avvenuto in passato in presenza di eventi simili, possono disporre di robuste risorse aggiuntive e di una ancora più robusta possibilità di indebitarsi.


Di questa possibilità noi italiani stiamo largamente approfittando: il deficit di bilancio è previsto superare il 10% del Pil. Le decisioni di spesa si sono finora comprensibilmente concentrate nell’aiutare le categorie più deboli, sostenendo con denaro pubblico coloro che sono stati più colpiti dalla pandemia e dalle misure prese per arginarla. 
Uno sforzo quantitativamente gigantesco, ma che non poteva e non potrà essere in grado di riparare a tutti i danni che il Covid-19 ci ha portato e ci porterà. Di qui le proteste di tutte le categorie che, in questo processo redistributivo, si ritengono sfavorite dagli impegni del governo. Questi impegni, come è stato rigorosamente elencato ieri nelle pagine di questo stesso giornale, coprono solo una quota minoritaria del danno subito. Alle proteste si sono poi aggiunti inammissibili atti di violenza da parte di gruppi e di persone che, ovviamente, non hanno nulla a che fare con le categorie danneggiate.


Ci troviamo quindi di fronte ad una fase di incertezza ancora più acuta, perché non sappiamo quali ulteriori restrizioni dovranno essere prese e quanto dovranno durare. Nello stesso tempo siamo consapevoli che, fra l’aumento delle spese sanitarie, le esenzioni fiscali, il prolungamento della Cassa Integrazione e i sussidi alle diverse categorie, le risorse pubbliche destinate alla riparazione dei danni stanno raggiungendo un limite invalicabile. Diventa perciò necessario e urgente destinare tutte le possibili risorse aggiuntive agli investimenti dedicati a evitare la futura catastrofe della nostra economia e a preparare la ripresa, senza la quale non ci libereremo mai dal peso del debito pubblico.


Se i sussidi si rivelano insufficienti, gli investimenti sono del tutto latitanti. Parlo sia degli investimenti pubblici che di quelli privati.
Dal punto di vista temporale mi rendo conto che gli investimenti privati possono partire solo in un quadro di maggiore certezza degli orizzonti economici, oggi molto confusi e destinati a cambiare radicalmente, anche se vi sono processi di ammodernamento delle strutture produttive, come la digitalizzazione e la preparazione degli specialisti, ormai chiari e immediatamente percorribili.

 
Imperdonabile è invece la perdurante inerzia degli investimenti pubblici nelle nuove e nelle vecchie infrastrutture necessarie per aumentare la nostra produttività. La frammentazione dei processi decisionali volti ad utilizzare le risorse del Recovery Fund non può che aggravare questo ritardo, anche se tutti sappiamo che il primo passo per uscire da una crisi deve essere compiuto da un grande progetto di investimenti pubblici.
Nel nostro caso bisogna aggiungere un’importante osservazione aggiuntiva. Come è stato messo in rilievo in occasione della giornata del risparmio, più la crisi si aggrava più le nostre banche si riempiono dei denari delle imprese e dei cittadini che, incerti sul futuro, risparmiano tutto quello che possono e spendono il meno che possono. 


Se non utilizziamo queste enormi risorse per preparare il nostro futuro, non usciremo mai dalla crisi. Senza una politica di nuovi investimenti mancheranno, infatti, anche i mezzi per pagare i sussidi. 

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