Un precedente grave che svela visioni opposte sulla giustizia

Venerdì 3 Maggio 2019 di Carlo Nordio
La decisione del premier Conte di estromettere – perché di estromissione si tratta – il sottosegretario Armando Siri dal governo, è di difficile interpretazione, perché non sembra ubbidire a una valutazione razionale. È vero che la politica ha spesso delle ragioni che la Ragione non conosce; ma allora, come ha detto il ministro Salvini, bisogna spiegarle agli italiani. E non crediamo sia un compito facile, per tre motivi.
Primo. Conte ha premesso che rispetta la presunzione di innocenza, che non intende condannare nessuno, e che in fondo il suo è un giudizio di opportunità politica e non di valutazione giuridica. Ma questo è un “jeux de mots”, perché i due aspetti coincidono. L’inopportunità politica che dovrebbe impedire la permanenza in carica del sottosegretario leghista altro non è – infatti – che il riflesso dell’indagine in corso. 

Un’indagine di cui sappiamo ancora poco e che per di più riguarderebbe altri due signori che parlano di lui. Si tratta di un’ambiguità che chiunque abbia esperienza di processi rileva immediatamente, perché quando Tizio e Caio parlano di una terza persona possono dire quello che vogliono, e il malcapitato coinvolto rimane senza difesa. 
Per questo motivo la richiesta di Siri di essere prima ascoltato è perfettamente legittima, perché lo mette in condizione di conoscere le contestazioni. Cosa, che, al momento, nemmeno Conte sa né può o deve sapere.
Secondo. Neanche il codice etico della verginità giudiziaria può essere invocato dal primo ministro. Siri ha già avuto una condanna per un reato importante (bancarotta), e quindi, per coerenza, non sarebbe nemmeno dovuto entrare nel governo. Perché adesso questa improvvisa e severa intransigenza nei confronti di chi prima si è accettato a cuor leggero? Perché si dice, si parla di corruzione e addirittura di mafia. Ma qui torniamo all’ipotesi precedente. Non c’è, allo stato, il minimo indizio che Siri sia coinvolto in vicende mafiose.

Se ci fosse, considerando l’interpretazione estensiva che la giurisprudenza dà del concorso esterno, si può star certi che gli sarebbe stato recapitato un avviso corrispondente. E quindi la domanda si ripropone. Perché ora, e in modo così ultimativo?
Terzo. Le vicende giudiziarie dimostrano che la gran parte di queste indagini si risolvono con un’archiviazione o un proscioglimento. E questo è normale, perché, come non si ripeterà mai abbastanza, l’informazione di garanzia è un atto dovuto a favore dell’indagato, non costituisce un anticipo di condanna, e nemmeno una valutazione di colpa, come del resto ha ripetuto lo stesso primo ministro. Il caso della Raggi - giustamente rimasta al suo posto anche in corso di processo - ci aveva fatto sperare che i grillini avessero finalmente compreso e rispettato il principio costituzionale di presunzione di innocenza, che peraltro, in questi casi, coincide con l’affermazione dell’autonomia della politica rispetto alle iniziative dei magistrati. 

Ora rischiamo di ritornare ai tempi bui del giacobinismo più cupo, reso più odioso dalle oscillazioni sospette degli attuali protagonisti e dalla disparità di trattamento inflitta ai loro avversari. 
Infine, una considerazione. Questa uscita di Conte, adesiva alla predicazione grillina, e in aperto contrasto con le dichiarazioni di sostegno a Siri sempre fatte da Salvini, dimostra da un lato le differenze ontologiche dei due soci di governo in tema di garantismo, e dall’altro una preferenza del garante verso uno dei contraenti. 
Orbene, la Lega già ha subìto, senza essere interpellata, la revoca delle deleghe a Siri da parte di Toninelli. È possibile che anche adesso accetti questo diktat senza reagire? In questo caso, se le spiegazioni chieste a Conte da Salvini non dovessero essere esaustive, sarebbe Salvini a dover fornire spiegazioni ai suoi perplessi elettori. E sarebbero spiegazioni ancor più difficili di quelle rese dal primo ministro.
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