Castrazione chimica, ritorno al Medioevo - di Carlo Nordio

Giovedì 28 Marzo 2019 di Carlo Nordio
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Shakespeare ci insegna che una buona ragione deve cedere a una ragione migliore. La nostra reazione ai numerosi, anche recenti, fenomeni di stupro è così sdegnata da farci ipotizzare le pene più aspre per gli autori di questo odioso reato. Ed è quindi comprensibile che, come dopo ogni strage terroristica c’è chi invoca il patibolo, così ad ogni violenza sessuale si prospetti la possibilità di rendere inoffensivi questi criminali neutralizzandoli con gli strumenti chimici di cui oggi disponiamo.Tuttavia non sarebbe una scelta razionale, per almeno tre ragioni.

Primo. La castrazione, pare, sarebbe opzionale per il condannato: se l’accetta, evita il carcere, altrimenti deve espiare la pena. Questa alternativa sovvertirebbe completamente la struttura del nostro codice e della Costituzione, dove la pena ha una funzione preventiva, retributiva e rieducativa. Si può concedere che la castrazione prevenga nuovi crimini; ma se le attribuiamo anche una funzione retributiva ciò significa che torniamo alla vecchia pena corporale. Quanto alla funzione rieducativa, essa è per definizione fondata sul libero convincimento, e non sull’effetto materiale di qualche molecola.

Secondo. Se la “castrazione” è un surrogato della pena, dev’essere provvisoria, e di conseguenza è inefficace. Una volta esaurito il tempo di espiazione e “di cura” la pericolosità infatti riemerge, probabilmente potenziata dal noto effetto contrario conseguente all’interruzione della somministrazione del farmaco. Se invece è irreversibile, costituisce una menomazione permanente come l’amputazione di un arto, e quindi, incidendo su un diritto indisponibile, è manifestamente incostituzionale .

Terzo. Questi delitti, un tempo appannaggio del genere maschile, sono oggi ipotizzabili anche a carico della donna, come ben dimostra il recentissimo caso dell’insegnante incarcerata per violenza su un infraquattordicenne. La legge non può certo discriminare le sanzioni in funzione del sesso, e quindi la “castrazione” dovrebbe valere per tutti. Ma qui sorgerebbe un problema, per così dire, di fisiologia. Se infatti per l’uomo questo reato si radica su una libido perversa, per la donna può benissimo poggiare su motivazioni assai differenti; non occorre avere la fantasia di Maupassant per immaginare che una donna abbandonata si vendichi seducendo il figlioletto del suo seduttore. Che farà la legge in questo caso? Il reato non deriverebbe da una sovraeccitazione sessuale da curare e correggere, e quindi la castrazione sarebbe inutile. Ma eliminare la possibilità di usufruirne significherebbe privare la donna dell’alternativa al carcere, e rendere quest’ultimo automatico. Un altro elemento di incostituzionalità.

Concludo. Ho cercato di argomentare in termini asettici, evitando ogni considerazione emotiva. In fondo il nostro ordinamento ha introdotto quella figura di isolamento mortuario che è il 41bis, e che per certi aspetti è più incivile anche di questa mutilazione farmacologica. Questo per dire che il nostro sistema non brilla di civiltà. Ma poiché credo che in politica l’errore sia il peggiore dei crimini, credo che questa iniziativa debba esser fermata. Perché, appunto, prima di ogni altra cosa sarebbe un errore, forse fatale.
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