Contraddizioni grilline/ La politica migratoria in tribunale

Martedì 29 Gennaio 2019 di Carlo Nordio
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Domani la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato inizierà l’istruttoria sulla posizione del ministro Salvini. Nel frattempo sono intervenute due importanti novità, che rendono la vicenda, se possibile, ancora più complicata. Il vicepremier Di Maio ha detto che se Salvini andrà a processo sarà il primo a testimoniare che la decisione sulla Diciotti fu assunta da tutto il governo. E, seconda novità, i suoi colleghi di partito hanno proclamato che nessuno può sottrarsi al giudizio della Magistratura; l’ineffabile Di Battista ha concluso: “Salvini dovrebbe rinunciare all’immunità e si risolve tutto”.
Con il dovuto rispetto per questi autorevoli esponenti, ho l’impressione che non abbiano colto la sostanza giuridica, e nemmeno politica del problema. Proviamo allora a mettere ordine.
1) Il Senato non è chiamato pronunziarsi sull’esistenza del reato di sequestro di persona, e nemmeno se Salvini sia gravato di sufficienti indizi per mandarlo a giudizio. Al contrario. 

L’art. 9 della Legge Costituzionale che prevede questa procedura, parte proprio dal presupposto che il reato ci sia, e dice questo: il ministro non può esser processato se ha agito “per il perseguimento di un preminente interesse pubblico”. Ne derivano due conseguenze. La prima, che questa garanzia non è conferita alla persona ma alla carica, e quindi non è rinunziabile. La seconda che la pronunzia del Senato verte sulla questione assai semplice: Salvini ha agito nell’interesse proprio o in quello dello Stato? Nel primo caso va giudizio, nel secondo no. Ed infatti, nei pochi precedenti casi analoghi, l’autorizzazione era stata concessa per reati come la corruzione che, per definizione, non potevano esser commessi per tutelare un interesse pubblico. Ma qui il caso è opposto: tant’ vero che, come ha detto Di Maio, tutto il governo era d’accordo. 
<HS9>2) Da quest’ultima affermazione del vicepremier deriva un’importante corollario: che sarebbe contraddittorio, e quasi metafisico, se adesso il suo partito dicesse che Salvini non ha agito nell’interesse dello Stato. Significherebbe infatti smentire Di Maio e l’intero governo. Politicamente la situazione diventerebbe paradossale, e cadrebbe tutto, compreso forse il Parlamento. 

<HS9>3) Se poi Salvini andasse a processo, lo stesso Di Maio, che - ripetiamo - ha apertamente ammesso la collegialità della decisione, sarebbe chiamato in correità a sensi dell’art 110 del codice penale. E con lui, naturalmente, il ministro Toninelli e il presidente Conte ( e forse altri) che hanno dato, come si dice in giuridichese, un contributo causale al verificarsi dell’evento. Ma poiché né su Conte né su Di Maio né su Toninelli si è pronunciato il tribunale dei ministri, l’intera faccenda dovrebbe esser riproposta a Catania, o forse a Roma, visto che il reato si sarebbe consumato a Palazzo Chigi. 
<HS9>4) Sempre se si celebrasse questo processo, accanto a questi imputati illustri dovrebbero trovarsi gli altri dirigenti che hanno trasmesso l’ordine criminoso del ministro. E sarà necessariamente valutata anche la posizione dello stesso Pubblico Ministero di Agrigento, che, non sequestrando la nave e non liberando i sequestrati, non avrebbe evitato il protrarsi del reato, rischiando così , a norma dell’art 40 2° comma del codice penale, di esser inquisito assieme ai suoi indagati.

<HS9>5) Questo processo, tuttavia, sarebbe anomalo e quasi impossibile da celebrare. Perché? Perché la Procura di Catania ha già detto che il reato non c’è. Quindi ci troveremmo in un dibattimento dove il Pm, cioè l’accusatore, dovrebbe per primo prendere la parola a difesa di tutti gli imputati.
<HS9>Concludo. In questo infernale pasticcio noi speriamo che la Giunta e l’intero Senato facciano buon uso di questo benedetto articolo 9 della Legge Costituzionale 16.1.89 n.1, e che nella solennità dell’aula, e in pubblico dibattito, spieghino agli italiani, che non si sta discutendo del Ministro Salvini, ma della coerenza di un indirizzo sulla politica migratoria che, discutibile fin che si vuole sul piano etico e umano, è comunque stata adottata in modo collegiale, e che sarebbe assurdo che ora la coalizione di governo smentisse sé stessa. Anche se, come dice il Bardo, può esservi lucidità nella follia, non può mai esservene nella dissociazione schizofrenica, soprattutto se si manifesta in un’ aula parlamentare. 
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