Riforma sbagliata/ Il paradosso di una stretta che premia l’impunità

Martedì 6 Novembre 2018 di Carlo Nordio
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Non sappiamo se il governo risolverà il conflitto tra i suoi componenti sulla proposta del ministro della Giustizia di riformare la prescrizione, sospendendone il decorso dopo la sentenza di primo grado. L’emendamento presentato ieri aumenterà infatti le ostilità da parte della Lega, che ha ricordato come la modifica di questa disciplina rientri sì nel Contratto, ma non in termini così estremi e radicali. Le critiche comunque sono piovute quasi da ogni parte, e ieri, su queste colonne, il presidente emerito Cesare Mirabelli vi ha messo il suggello della sua pregressa carica e della sua alta cultura. Per conto nostro, abbiamo detto subito che si tratta di un progetto palesemente incostituzionale e dannoso oltre che irragionevole. Incostituzionale perché confligge con il principio della durata ragionevole del processo; e dannoso, perché rimanda all’infinito il risarcimento alle vittime. Vediamo ora perché è irragionevole. Prima, due parole sulla prescrizione per chi non è uso di giuridichese.
La prescrizione è una causa di estinzione del reato, e quindi, detta volgarmente, di impunità. Ma non è una pensata bizzarra. Essa ubbidisce a due criteri. Il primo, non lasciare all’infinito l’imputato sulla graticola giudiziaria: e di questo abbiamo già parlato in più occasioni.
Il secondo, riconoscere che lo Stato ha perso l’interesse a punire un delitto commesso tanto tempo addietro, perché è cessato l’allarme sociale che aveva provocato, e perché il colpevole può ormai esser diventato una persona completamente diversa. Ora, la riforma Bonafede non incide su questi principi: la prescrizione rimane nel nostro ordinamento. Senonché, rimandare all’infinito la definizione del processo dopo la sentenza di primo grado, significa smentirli, questi stessi principi. Perché delle due l’una: o si riconosce che l’interesse dello Stato a punire è eterno, e allora si elimina la prescrizione “tout court”. Oppure se ne riconferma l’ esistenza, ma allora la riforma ne contraddice i presupposti, proprio perché consente la punizione anche a decenni di distanza dal crimine. Ecco perché è irragionevole. 
Ma c’è un difetto ancora più importante, di cui il proponente non solo non s’è accorto, ma che ha aggravato con l’emendamento di ieri, specificando che si tratta di “materia di prescrizione del reato”Orbene, nel nostro codice non esiste solo la prescrizione del reato, ma anche la prescrizione della pena. Che significa? Significa che se il condannato si sottrae alla sua esecuzione, cioè scappa, dopo qualche anno la pena si estingue: qui non abbiamo più l’”impunità” del cittadino che dopo anni e anni di processi ha il diritto di sapere quale sia il suo destino. Qui abbiamo l’impunità di un condannato latitante, che dopo essersi dato alla fuga, si vede gratificato di un trattamento preferenziale rispetto a chi ha accettato disciplinatamente il processo. Per esser ancora più chiari: se Tizio compare davanti al giudice, viene assolto, e il Pm impugna, la sentenza definitiva può arrivare dopo un’eternità. Se invece se ne disinteressa, viene condannato, e si dà alla fuga, basta che aspetti qualche anno e la pena viene cancellata. Insomma, un sostanziale incitamento all’evasione, o comunque a infischiarsene della legge. Non si tratta di uno scherzo: leggete l’art 172 del codice penale, quello che la riforma prospettata non modifica, e vedrete che è così. Perché si è arrivati a tanto? Perché, con la solita inavvedutezza assistita da una demagogia elementare e silvestre, si è trascurato il principio che un codice penale è - o dovrebbe essere - un organismo omogeneo, incompatibile con interventi settoriali dell’ultima ora che ne violentino la struttura. Come sta avvenendo ora, con questo emendamento improvvisato e quasi forzoso. “Vi nec clam”, direbbero i romani. E lo diciamo con tutta la deferenza proprio al primo ministro Conte, che da valido giurista sa di latino, ne capirà l’effetto dirompente, e potrà porvi rimedio. 
Ultimo aggiornamento: 01:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA