Un leone ferito. Vincenzo Consoli avrebbe una gran voglia di ruggire, ma non può farlo per motivi di opportunità e di strategie processuali. Da 2 anni si è imposto il silenzio sulle vicende che hanno travolto lui, Veneto Banca e migliaia di azionisti: ora però con Il Gazzettino accetta per la prima volta di farsi intervistare, attento a calibrare le parole (oggi pubblichiamo la prima parte, domani la seconda). La partita con la giustizia è ancora lunga e non vuole anticipare il processo, ma aggiunge elementi al quadro finora dipinto.
Perché adesso? «Perché ho la sensazione che, dopo tante vicissitudini e visto anche quel che è accaduto con gli ostacoli dall'Ue al cosiddetto salvataggio, ci sia più disponibilità a cercare di ricostruire ciò che è successo veramente».
Che cosa glielo fa pensare? Chi ha perso i propri risparmi ha comprensibilmente il dente avvelenato. «Certo che lo so, ci mancherebbe. Ma ad oggi i fatti sono tutti da accertare. La ferocia che quasi quotidianamente mi riservano le cronache stride con l'oggetto delle indagini».
Crede che la procura di Roma, che ha indagato su Veneto banca, non la manderà a processo?...
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