Taglio agli aiuti, scontro nella Ue

Sabato 20 Giugno 2020 di Antonio Pollio Salimbeni
Taglio agli aiuti, scontro nella Ue

Un passo avanti: adesso si apre il vero negoziato tra i governi. Strada lunga da percorrere, in salita. Come atteso, i leader europei non hanno raggiunto un accordo né su Next Generation Fund, il nuovo pacchetto anticrisi da 750 miliardi di euro, né sul bilancio Ue 2021-2027, tuttavia hanno sdoganato la prospettiva di emettere debito comunitario in una scala mai sperimentata prima, prospettiva negata in radice fino a un paio di mesi fa. Il prossimo appuntamento è a metà luglio a Bruxelles, stop alle videoriunioni. 

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LA RETE
L’Ue sta affrontando la recessione più grave dalla Seconda guerra mondiale, avverte Angela Merkel in pressing per un rapido sblocco della situazione, e ha tutto l’interesse a varare il Recovery Plan entro la fine dell’estate, prima di eventi come le elezioni americane. In ogni caso, avverte la cancelliera, i fondi all’Italia non arriveranno prima del 2021. E il tempo, appunto, stringe.

Al presidente Ue Michel tocca costruire la rete di un compromesso. Ha promesso «proposte concrete». È incerto se i 27 ce la faranno entro fine luglio: la gran parte ha ribadito che bisogna provarci, non c’è tempo. Il premier Conte ritiene che il prossimo Consiglio sarà decisivo, l’olandese Rutte e lo svedese Löfven dicono che predire come andranno le cose è azzardato. Però tutti sanno che traccheggiare non è un’opzione ed è stata la presidente della Bce Lagarde a chiarirlo: il piano di rilancio deve essere «ampio, veloce, flessibile e saldamente ancorato alle riforme perché la crisi è drammatica». I mercati sono calmi, valutano positivamente le mosse prese nell’emergenza, ma una scelta insufficiente e tardiva adesso «potrebbe rapidamente cambiare quella valutazione». Governi avvisati. 

Le divergenze sono molte e su aspetti decisivi, tuttavia il clima del confronto viene giudicato da tutti «costruttivo», niente toni alti. Non ci sono contestazioni sulla base politica e giuridica delle proposte von der Leyen. «Nessuno ne ha messo in discussione l’architettura e nessuno ha messo in discussione l’emissione di obbligazioni» da parte della Commissione, ha indicato la cancelliera tedesca che dal primo luglio sarà presidente di turno della Ue. Sarà lei a tenere il pallino del negoziato in mano, più che il belga Michel e secondo molti questa è una garanzia. Neppure i 4 «frugali» hanno opposto una guerriglia di principio anche se è stata rievocata la litania che la Ue «non è una unione del debito» (l’austriaco Kurz). 

«Non sottostimare le difficoltà», ha avvertito Michel. I «frugali concentrano il fuoco sull’eccesso, secondo loro, di sovvenzioni a fondo perduto agli stati rispetto ai prestiti. Olanda, Svezia, Danimarca e Austria cui si è aggiunta la Finlandia premono per ridurre le prime a vantaggio dei secondi: 500 miliardi contro 250 è considerato un insulto alla loro morale. Ma queste sono le posizioni di partenza e il negoziato vero, ha ricordato Michel, parte oggi. Ci sono pronte varie contropartite per i frugali, a cominciare dalla conferma dello sconto al contributo nazionale al bilancio Ue che neppure la Germania intende mollare come ha confermato ieri Merkel.

Il fronte di Visegrad appare meno coeso degli ultimi tempi: Ungheria e Cechia contestano la ripartizione delle risorse che premia più l’Europa del Sud che l’Europa dell’Est, da giorni Orban parla di «benefici ai ricchi con i soldi dei poveri». 

I BENEFICIARI
Polonia, terza beneficiaria del piano per la ripresa dopo Italia e Spagna, e Slovacchia sono ora più vicini agli «ambiziosi». Questi ultimi sono veri sostenitori dei 750 miliardi con al centro il Recovery Fund: per la Germania la proposta von der Leyen «è appropriata». Macron la difende a spada tratta e così Conte e Sanchez, fra i più preoccupati dai traccheggiamenti: «Più tempo perdiamo più la recessione sarà profonda». Vero solo in parte, perché i 750 miliardi saranno utilizzabili dal 2021 (lo ha ricordato Merkel). Per il 2020 sono previsti solo 11,5 miliardi. E non è detto che regga l’idea di far durare il Recovery Fund fino al 2024, troppo per la cancelliera e lo dicono anche i «frugali».

Tra gli “ambiziosi” Portogallo, Grecia, Irlanda, Lussemburgo. Altri punti di divergenza sono il volume del piano di rilancio, l’aumento delle risorse proprie e il volume del bilancio (1100 miliardi), le condizioni per avere gli aiuti (i «frugali» vogliono rafforzare il legame con le riforme), la «governance», i criteri di ripartizione dei fondi. Per Francia e Germania l’unica cosa non discutibile è la parte di sussidi: 500 miliardi. Sulla quantità di prestiti potrebbero esserci limature. Così come è controverso il volume del bilancio Ue a 1100 miliardi per 7 anni. 

 

Ultimo aggiornamento: 13:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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