Recovery Fund, scontro a tutto campo su sussidi e controlli. L'Italia è in difficoltà

Domenica 19 Luglio 2020 di Antono Pollio Salimbeni
Recovery Fund, scontro a tutto campo su sussidi e controlli. L'Italia è in difficoltà

Giornata lunghissima, con molte tensioni, arresti, marce indietro, rilanci, minacce, nuove proposte di mediazione. E decine di incontri ristretti, in tutti i formati possibili. Neppure ieri i Ventisette leader europei sono riusciti a trovare un accordo sul fondo anticrisi e la più grande operazione di raccolta di capitali sul mercato per far fronte ai devastanti effetti economici della pandemia. Nel tardo pomeriggio il premier Conte parla di stallo. Poi continuano le riunioni, febbrili. Un po' prima di mezzanotte, l'annuncio: il Consiglio europeo è riconvocato per oggi a mezzogiorno.

Recovery fund e Consiglio Ue Quelli che non si fidano dell’Italia e preparano il freno d’emergenza

GLI SCOGLI
Gli scogli sono sempre gli stessi: volume finanziario dell'operazione, equilibrio sovvenzioni/prestiti, meccanismo per controllare l'attuazione delle riforme e condizionare gli esborsi agli stati. E poi la parte bilancio Ue 2021-2027 con Ungheria e Polonia lancia in resta a opporsi al legame tra fondi e rispetto dello stato di diritto. Per l'ora di cena si attendeva una nuova proposta di mediazione confezionata dal presidente Ue Michel. Invano. Arriverà stamattina. Sempre di scena il contrasto molto duro tra il fronte dei «frugali», con l'olandese Rutte e l'austriaco Kurz punte di sfondamento, e il fronte del Sud, con Conte e lo spagnolo Sanchez a difesa del pacchetto da 750 miliardi e in difficoltà a rintuzzare la manovra che punta a rendere possibili veti o semiveti al via libera agli esborsi se un paese non rispetta gli impegni sulle riforme. Merkel è la grande mediatrice, Macron le sta appiccicato, completano il gruppo dei tessitori Michel e la presidente della Commissione von der Leyen.

Recovery Fund, braccio di ferro tra Italia e Paesi frugali su aiuti Ue. Conte: «Europa sotto ricatto»

Si capisce la direzione di marcia in tarda mattinata: Michel propone taglio dei sussidi a fondo perduto e stretta sulla governance. Ci si allontana dall'impostazione von der Leyen che per Conte, il fronte del Sud, il parlamento europeo avrebbe dovuto essere la base di partenza per aggiungere, non per indebolire. L'ammontare totale di Next Generation Eu non viene toccato, però i sussidi da 500 miliardi passano a 450, i prestiti salgono da 250 a 300. Primo spostamento verso i «frugali». Viene però aumentato di 15 miliardi il Recovery Fund che passa a 325 miliardi. Da lì verrà la maggior parte dei trasferimenti diretti agli stati. Sforbiciati i 190 miliardi suddivisi tra altri programmi: sacrificati il sostegno alla solvibilità delle imprese, un po' la ricerca, i fondi per i territori per la transizione ecologica (che interessano Taranto).
LA TRATTATIVA
Nel tardo pomeriggio queste cifre tornavano nell'incertezza: nello zigzagare della trattativa a un certo punto i «frugali» chiedono di tagliare le sovvenzioni di 155 miliardi. Obiettivo, alzare il prezzo sulla «governance», sulla possibilità per un solo stato di bloccare l'esborso dei fondi. Un punto che per Italia e Spagna diventa decisivo per evitare che le misure antirecessione diventino il campo per una resa dei conti tra uno stato e un altro. Anche su questo il baricentro del negoziato si è spostato verso la posizione dei «frugali» e non si tornerà indietro. Michel propone un «freno d'emergenza» per permettere a un governo che ha riserve su un piano di riforma di chiedere in tre giorni un confronto a 27 al Consiglio europeo o all'Ecofin per trovare «una soluzione soddisfacente». I piani sarebbero approvati a maggioranza qualificata dal Consiglio, la Commissione autorizza gli esborsi sentiti gli stati; nel caso in cui tra gli stati non ci sia consenso, uno stato può appellarsi al Consiglio e la Commissione non procederebbe all'esborso fino a quando il caso non sarà chiarito. Italia e Spagna difendono il voto a maggioranza qualificata, Rutte, rigidissimo, insiste sul diritto di veto. Per Conte è una linea rossa: passi il calo dei sussidi, ma sul veto il no dell'Italia è secco. Terza scivolata verso i «frugali»: Michel offre l'aumento dello sconto ai contributi al bilancio Ue a Svezia, Danimarca e Austria, ma non a Germania e Olanda per i quali non cambia.

I protagonisti
Angela Merkel
Partecipa ai vertici europei da quasi 15 anni. Non a caso, e non per smanceria, viene chiamata la Regina. Sa pesare ogni sguardo dei suoi interlocutori e predilige quelli da tarda notte, perché più arrendevoli ai suoi disegni: «Prendo i miei partner per sfinimento», si diverte ad ammettere ed è vero. «Senza la Merkel non andiamo da nessuna parte», dicono di lei in queste ore (comprese le piccole) sia Conte sia Macron e Sanchez. Sa quanto sia essenziale, per l’industria tedesca, la buona salute dell’economia italiana. Sta cercando di modificare il meno possibile il pacchetto anti-crisi del Recovery Fund dicendo che «l’egoismo non deve appartenerci». Il problema è che anche dentro il suo partito ci sono i «frugali».

Ursula von der Leyen
La sua presidenza della Commissione Europea non era partita molto bene. Non pareva promettere un grande respiro, anche se la novità di una donna al vertice Ue va segnalata come importantissima e promettente. Infatti, in questa partita in corso a Bruxelles sui fondi ricostruzione, ma anche lungo tutti i mesi che l’hanno preparata, la von der Leyen si muove con estrema attenzione per i Paesi in difficoltà. L’Italia spera molto in lei e la considera «una garanzia». Il suo ottimo rapporto con la Merkel aiuta e anche, per quanto ci riguarda, giova il feeling che ha stabilito con il commissario Gentiloni. Altri presidenti Ue suoi predecessori ogni tanto si appisolavano durante le maratone notturne a Bruxelles, Ursula invece no.

Charles Michel
Il belga Charles Michel, in carica da appena otto mesi, viene soprannominato «lo stinto Michel». Nel senso che non gli viene attribuito particolare carisma e ha avuto inizi difficili. Il suo primo Consiglio europeo a dicembre è stato dedicato all’addio del Regno Unito causa Brexit. Il secondo vertice, a febbraio, è fallito per il mancato accordo sul bilancio 2012-2027. Ora «lo stinto Michel» sta prendendo un po’ di colore e di forma. Ha formalizzato, e spetta al suo ruolo, la proposta del «freno d’emergenza». Convoca quasi in continuazione mini summit con i protagonisti dei bracci di ferro: con Merkel, Conte, Macron e Rutte naturalmente. Dice di sé: «Io sono l’avvocato che deve far trovare l’accordo. Sto dalla parte di tutti». E di nessuno.

Giuseppe Conte
Sta gestendo una ritirata o una vittoria? Lo sapremo alla fine di tutto.

Intanto, senza che gli si muova un capello o che gli calino le palpebre nonostante faccia l’alba, sta combattendo per assicurarsi che gli 81 miliardi che spettano all’Italia nell’attuale distribuzione non scendano soprattutto nella parte a fondo perduto. Sanchez e Macron lo affiancano in questa partita da 1X2, ma non lo sovrastano. La Merkel gli si rivolge con una certa considerazione - «Ho la stima della Cancelliera», si lascia andare l’ex «avvocato del popolo» - ma l’antagonista Rutte sta sfoderando una sapienza negoziale che lui non aveva previsto fino in fondo. La difficoltà di Conte sta anche nel dover recuperare tanti punti persi per l’immagine dell’Italia in questi anni.

Ultimo aggiornamento: 11:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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