Lavoro post Covid, i nuovi bisogni dello smart worker: il benessere aziendale “intelligente”

Martedì 27 Aprile 2021 di Giovanni Scansani*
Covid, i nuovi bisogni dello smart worker: il benessere aziendale “intelligente”

Lo smart working (SW) - che prima del Covid-19 era una prassi elitaria limitata a pochi lavoratori (570mila secondo il Politecnico di Milano) - deve ancora dare prova della sua reale portata innovativa e collettiva. Se così sarà lo testimonieranno sia una sua più ampia diffusione (in futuro si stima riguarderà tra i 3 e i 5 milioni di lavoratori), sia il suo collegamento con i processi di riprogettazione organizzativa dell’impresa e del lavoro che ne costituiscono le sole autentiche premesse (altrimenti si resterà sul piano delle misure di conciliazione vita-lavoro più prossime al welfare aziendale e comunque lontani dalle trasformazioni di “Impresa 4.0” nel cui àmbito l’autentico “lavoro agile” va collocato). Il welfare aziendale (WA), invece, sta vivendo una fase nella quale, ricalibrando le risposte sulle necessità individuali e familiari amplificate dall’emergenza, si è dimostrato capace di essere un efficace strumento per la tenuta dei livelli di commitment e di engagement delle persone, idoneo a contrastare anche taluni effetti di quella “atomizzazione” dei team aziendali che il “lavoro da remoto forzato” (dalla pandemia) ha inevitabilmente provocato. Non solo. Il WA ha fatto riscoprire la sua reale funzione che era stata un po’ trascurata negli ultimi anni: quella “sociale” (l’unica che ne giustifica il favor fiscale). Con la pandemia, infatti, non è stato più possibile accedere a tutto quell’insieme di servizi che hanno la finalità di soddisfare necessità meno rilevanti sul medio-lungo periodo della vita delle persone (come quelle ricreative e di svago: i cosiddetti servizi “Life Style”) mentre sono diventati prioritari (e se ne è meglio compreso anche il significato prospettico) servizi come quelli sanitari integrativi e quelli dedicati ai figli e agli anziani (i cosiddetti servizi di “People Care”).

Al perseguimento di queste finalità il WA “in emergenza” ha saputo far fronte anche grazie alla digitalizzazione di servizi prima fruibili “in presenza”, come avvenuto, ad esempio, per le prestazioni di supporto al benessere psicologico o per quelle destinate a dare sostegno ai percorsi di istruzione dei figli costretti alla DAD o agli interventi per gli anziani non-autosufficienti con appositi programmi di sostegno erogati online in favore dei caregiver informali (ossia i familiari dell’assistito). In questo quadro SW e WA hanno sinergicamente “dialogato”, il secondo essendosi messo anche al servizio del primo non solo continuando a rendere disponibili ai lavoratori “remotizzati” le prestazioni previste dai loro piani di WA (per le quali l’interfaccia era già digitale: le piattaforme dei Provider), ma ponendosi anche come strumento capace di ridurre le criticità provocate dell’isolamento socio-lavorativo attraverso veri e propri palinsesti di programmi che hanno spaziato dal sostegno psico-fisico al counseling familiare, anche di tipo organizzativo, passando per le iniziative di digital detox e quelle ludico-ricreative per i figli.

Il futuro del WA (e la vivibilità dello SW) passano dunque dal parziale ridisegno delle iniziative non solo per tenere conto delle esigenze di una quota di lavoratori “agili” che certamente domani sarà più consistente, ma anche per ricalibrare i programmi affinché siano centrati, anzitutto, sulle tutele che devono poter assicurare nel lungo periodo. E il WA dello smart worker dovrà anzitutto prevedere una specifica formazione del lavoratore alle nuove modalità di lavoro e di collegamento con il team aziendale perchè lo SW non è una profezia che si autoavvera, ma è un progetto complesso di ridefinizione culturale basato su una nuova relazione tra tecnologia, organizzazione e lavoro per la cui realizzazione occorrono non solo manager, ma lavoratori realmente “agili” ossia capaci (perché messi nelle condizioni) di affrontare la trasformazione del lavoro.

Tutto ciò senza perdere di vista la più welfaristica delle condizioni per lavorare bene, prima ancora che smart: la riscoperta del senso e del valore di ciò che si fa (a prescindere dal fatto che lo si faccia dentro o fuori dal perimetro fisico dell’ufficio). Sarà così possibile preservare il valore più importante che le recenti utopie associate al “lavoro agile” hanno spesso dimenticato: la relazione umana senza la quale non c’è mai “lavoro intelligente”.

* consulente di welfare aziendale

Ultimo aggiornamento: 28 Aprile, 09:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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