Web tax, norma pasticciata: slitta l’incasso di 700 milioni

Venerdì 15 Gennaio 2021 di Luca Cifoni
Web tax, norma pasticciata: slitta l incasso di 700 milioni

È la grande incompiuta del sistema fiscale italiano (in attesa di una sua riforma): la web tax è stata approvata a fine 2018 ma dopo oltre due anni il governo ha dovuto rimandare ancora la sua applicazione, spostando in avanti di un mese sia il termine per il primo pagamento, che era fissato al 16 febbraio, sia quello del 31 marzo che riguardava invece la relativa dichiarazione.

Il rinvio, a differenza di altre misure dello stesso tipo, non dipende in modo decisivo dalla situazione di emergenza sanitaria ed è invece l’esito per certi versi inevitabile di una vicenda alquanto pasticciata: nata dalla volontà di sottoporre al prelievo fiscale gli sfuggenti profitti dei colossi del web, l’imposta sui servizi digitali si è rivelata - nella versione italiana - mal congegnata e di difficile attuazione.

Con il paradossale rischio di andare a colpire anche imprese italiane che risultano danneggiate dalla concorrenza dei giganti americani.

In realtà lo sforzo per arrivare ad una forma di imposizione su queste multinazionali è iniziato ancora prima. Il lavoro sul progetto è in corso da anni nell’ambito dell’Ocse, l’organizzazione internazionale che si occupa tra le altre cose anche della collaborazione fiscale a livello globale: il punto è individuare i profitti ottenuti da imprese come Google, Facebook e altre ancora in Paesi nei quali non hanno una presenza fisica (o ce l’hanno comunque molto limitata). Ad esempio i ricavi pubblicitari originano dai consumatori italiani o francesi ma sono gestiti a distanza con strumenti digitali, senza bisogno di particolari uffici o stabilimenti in loco, e di conseguenza i relativi utili non possono essere tassati dai governi di quegli Stati perché sono dirottati in altri territori (gli Stati Uniti o ad esempio l’Irlanda che ha vantaggiosamente attirato le filiali europee di queste aziende).

Dunque si tratterebbe di collegare questi flussi finanziari con le varie realtà geografiche in modo il più possibile corretto. I negoziati a livello Ocse sono però rallentati dalla forte opposizione degli Usa. L’Europa ha allora cercato di istituire una propria imposta, ma anche questo percorso per ora non è stato completato e dunque alcuni Paesi tra cui Francia e Italia si sono mosse in proprio, riservandosi di far saltare il nuovo tributo una volta scattato quello globale.

Prelievo sui ricavi

Nel merito il prelievo dovrebbe operare sui ricavi (proprio per aggirare il nodo di cui sopra) colpendo il 3 per cento di quelli delle aziende che ne dichiarano per 750 milioni a livello globale, di cui 5,5 derivanti da servizi digitali realizzati in Italia. Quanto alle modalità applicative, l’Agenzia delle Entrate aveva predisposto uno schema di provvedimento sottoponendolo poi ad una consultazione pubblica terminata lo scorso 31 dicembre. I tempi per gli eventuali aggiustamenti sarebbero stati comunque molto stretti. Tra le osservazioni pervenute alle Entrate ci sono anche quelle che segnalano come le norme attuali prese alla lettera penalizzino le imprese nazionali: le quali invece di essere aiutate a competere ad armi pari potrebbero subire una doppia tassazione.
Dalla web tax lo Stato si attendeva un gettito quantificato in 708 milioni per il 2020: introiti il cui incasso è destinato quanto meno a slittare.

 

Ultimo aggiornamento: 22:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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