Superbonus, Meloni: tamponato un buco di 40 miliardi. Un piano per i crediti

Il Presidente del Consiglio: «Non è austerità, ma serietà»

Giovedì 23 Marzo 2023 di Andrea Bassi
Superbonus, Meloni: tamponato un buco di 40 miliardi. Un piano per i crediti

Lo aveva detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Lo ha ribadito in maniera più decisa e dura il Presidente del consiglio Giorgia Meloni.

Il governo ha dovuto mettere «una pezza» a un provvedimento che ha «lasciato nelle casse dello Stato un buco da 40 miliardi di euro». Una presa di posizione arrivata nello stesso giorno in cui la Guardia di Finanza ha scovato truffe per altri 3 miliardi di euro sui bonus edilizi ed effettuato un sequestro record di 1,7 miliardi. 

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La stretta sul Superbonus, ha spiegato Meloni durante le comunicazioni in Parlamento sul prossimo Consiglio europeo, non è una questione di «austerità», ma di «serietà». Una misura che era stato stimato sarebbe costata 30 miliardi, ne ha “bruciati” oltre 70, che salgono a più di 110 se si aggiungono anche gli sconti sulle facciate e gli altri bonus edilizi. E questo immane sforzo finanziario per le casse dello Stato «per efficientare», ha spiegato Meloni, «meno del 4% degli edifici, di cui gran parte seconde case, scaricando su ogni italiano un debito di 2 mila euro, anche su quelli che una casa non ce l’avevano, per aiutare le banche a lucrarci sopra». 
Il puzzle degli incentivi all’efficientamento energetico è complesso. Ci si è messo di mezzo anche il Parlamento europeo con la proposta sulle “case green”, l’obbligo di raggiungere la classe energetica “D” entro il 2030. Un obiettivo difficilissimo e costoso per l’Italia, che dovrà arrivare all’appuntamento avendo già esaurito i bonus. Con un paradosso, ha spiegato Meloni. «L’esecuzione di un ampio spettro di interventi di riqualificazione compiuti prima del 2025», ha detto, «rischia di risultare inutile, perché i criteri tecnici e le metodologie che sono esistenti oggi verranno modificati». Dunque anche gli immobili oggetto di interventi finanziati con le varie forme di incentivi fiscali potrebbero risultare non idonei perché nel frattempo sono cambiati i parametri di riferimento. Insomma, i 110 miliardi sarebbero andati praticamente sprecati. Ma nonostante questo il governo è al lavoro per lanciare un “salvagente” per i 19 miliardi di crediti incagliati nei cassetti fiscali delle imprese che non riescono a scontarli in banca e, dunque, a far partire i cantieri. Il ministero dell’Economia e la Ragioneria generale, continuano ad opporsi all’ipotesi di permettere alle banche di utilizzare gli F24 dei correntisti per scaricare i crediti fiscali nei confronti dello Stato. Il timore è che il via libera ad una misura del genere possa avere degli effetti sulla cassa del Tesoro. Trovare una soluzione non è semplice. Lo dimostra anche lo slittamento deciso ieri dei lavori alla Camera. 

 

L’ITER

Gli emendamenti sui quali è già stato trovato un accordo tra il relatore, Andrea De Bertoldi, ed il governo, saranno votati oggi, mentre le modifiche sui crediti incagliati saranno messe al voto lunedì 27. Il testo arriverà poi in aula mercoledì 29. Sui 19 miliardi di crediti incagliati, oltre all’uso degli F24, ci sono altre due ipotesi. La prima riguarda la creazione di una “piattaforma” sulla quale verrebbero scaricati parte dei crediti nei portafogli delle banche per far spazio a nuove operazioni di sconto. La seconda sarebbe la possibilità di permettere alle banche di trasformare in Btp gli eventuali crediti che superassero la loro capienza fiscale. Questo permetterebbe agli istituti di riattivare gli sconti senza il timore di doversi caricare crediti che poi andrebbero persi. Le tre soluzioni potrebbero anche fare parte di una sorta di “mix”. Oggi, come detto, si comincerà intanto a votare sulle modifiche concordate. A partire dall’emendamento che estende il tempo a disposizione per completare i lavori sulle villette. L’attuale dead line per chiudere i cantieri scade attualmente il 31 marzo. In discussione c’è un emendamento per prorogare il termine fino al 30 giugno. Ma il testo potrebbe essere riformulato per allungare la scadenza fino a fine settembre. Come anticipato dal Messaggero, poi, sarà votato anche un emendamento che permette (volontariamente) di allungare la detrazione del Superbonus dagli attuali quattro anni fino a 10 anni. Una misura che ha lo scopo di consentire, visto che lo sconto in fattura non è più possibile, di poter accedere al Superbonus anche le famiglie con redditi più bassi. Per “assorbire” in sole quattro rate lo sgravio, infatti, servirebbe un reddito minimo di 40 mila euro. Portando la detrazione in 10 rate anche i redditi più bassi sarebbero in grado di assorbirla. 

Confermata anche la decisione di allungare fino a novembre, pagando una sanzione di 250 euro, la possibilità di comunicare all’Agenzia delle Entrate la cessione del credito. Anche questo termine sarebbe scaduto a fine marzo, rendendo impossibile nuove cessioni per i crediti maturati nel 2022 ma non ancora scontati. Tra gli emendamenti troverà spazio anche la norma cosiddetta “salva-caldaie”. Chi ha acquistato prima del 16 febbraio un nuovo impianto (ma anche una pompa di calore o degli infissi), ma non ha ancora effettuato l’installazione, potrà dimostrare che il contratto è precedente al decreto taglia-sconti attraverso la presentazione di un bonifico parlante o di una doppia autocertificazione (sia del committente che dell’impresa). Lo sconto in fattura, infine, tornerà per le case popolari e le Onlus, oltre che per l’installazione di dispositivi per abbattere le barriere architettoniche. 
 

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