Addio allo sconto in fattura e alla cessione dei crediti d’imposta, e via libera ad una nuova governance per velocizzare il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Sono questi i due differenti testi approvati ieri all’unanimità durante il Consiglio dei ministri.
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Stretta al Superbonus
In entrambi i casi (e non senza qualche polemica) il governo si è detto costretto ad intervenire, da un lato per porre rimedio «ad una politica scellerata, usata in campagna elettorale» che «ha imposto a tutti un carico di duemila euro a testa», come ha attaccato il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti in conferenza stampa alludendo chiaramente al Superbonus e al Movimento 5 stelle; dall’altro per semplificare e rendere «più efficace l’azione della struttura che deve mettere in campo progetti e usare fondi europei» come ha spiegato invece il ministro degli Esteri Antonio Tajani riferendosi soprattutto al Pnrr. «Non vogliamo che neanche un euro venga perduto» ha aggiunto, anticipando la presentazione del provvedimento da parte del ministro degli Affari Ue, del Pnrr, della Coesione e del Sud Raffaele Fitto nelle mani di cui, a palazzo Chigi, viene ora concentrata l’intera regia del Piano.
I BONUS
Il fronte “caldo” tra le due iniziative ieri è però diventato quello dei bonus edilizi. La scelta dell’esecutivo ha infatti lasciato «perplesse» le associazioni di categoria come Ance e Confedilizia e scatenato le opposizioni. «Ai cittadini e al Paese servono soluzioni ai problemi, ma così la destra al governo ne crea soltanto di nuovi» l’affondo di Stefano Bonaccini, candidato alla segreteria del Pd e presidente dell’Emilia Romagna. Ancora più duro il M5S con l’ex ministro Stefano Patuanelli: «Il governo condanna a morte chi vuole fare».
La motivazione dell’intervento è però chiarita proprio dal ministro leghista: «Ha un duplice obiettivo, cercare di risolvere il problema che riguarda la categoria delle imprese edili per l’enorme massa di crediti fiscali incagliati e mettere in sicurezza i conti pubblici». Del resto, spiegano i presenti al cdm guidato da remoto da una Giorgia Meloni ancora influenzata, il premier stesso ha spinto per la necessità di un intervento ormai impossibile da evitare.
L’EUROPA
Sull’altro fronte, nel giorno in cui l’Unione europea ha acconsentito a valutare il rispetto dei target del Pnrr in tre mesi al posto dei due tradizionali (e quindi ad approvare la terza tranche di finanziamenti entro fine marzo), Fitto ha chiarito le manovre sulla governance del Piano e dei fondi di coesione a cui sta lavorando da mesi. In particolare, dopo la lettura della relazione sui fondi di Coesione 2014-2020, e appurato grazie ai dati di Commissione Ue, Corte dei Conti e Ragioneria Generale dello Stato che sono stati spesi poco e male, si è deciso di assorbire sostanzialmente la loro struttura in quella del Piano, per ottimizzarne resa e spesa. «Un intervento per portare a far parlare diversi programmi» ha spiegato, sintetizzando un ampio provvedimento in cui gran parte delle strutture attuali confluiscono dai ministeri a palazzo Chigi. Non solo però, cambiano anche le regole: ad esempio per le unità di missione del Pnrr all’interno dei singoli ministeri, consentendo il trasferimento delle loro funzioni (oggi vincolate ad un singolo dirigente fino al 2026) qualora il lavoro non sia ritenuto adeguato. Idem per i poteri sostitutivi del governo nei confronti degli appalti. O anche, infine, con interventi con cui si punta a velocizzare il sistema autorizzativo per gli impianti che sfruttano fonti rinnovabili (soprattutto eolici) tagliando tempi e oneri dei permessi per le opere.
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