Superbonus 110 bloccato, pressing del Senato su Draghi. Lettera al premier per salvare l'incentivo

Il presidente della Commissione finanze D’Alfonso: «Migliaia di imprese a rischio»

Giovedì 16 Giugno 2022 di Andrea Bassi
Superbonus 110 bloccato

Salvare il Superbonus. Lo sconto fiscale del 110 per cento sui lavori di efficientamento energetico, e con lui le imprese che hanno maturato i crediti nei confronti dello Stato e che adesso rischiano di fallire perché non trovano più nessuna banca disposta ad acquistarli. Sui bonus edilizi il Parlamento va in pressing sul governo. La Commissione finanze del Senato ha dato mandato all’unanimità al presidente Luciano D’Alfonso, di inviare una lettera a Mario Draghi per chiedere di lanciare un salvagente al Superbonus.

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Pressing del Senato su Draghi

Nell’altro ramo del Parlamento, alla Camera, dove è in discussione il decreto “aiuti”, tutti i gruppi parlamentari hanno sottoscritto un emendamento il cui scopo è riaprire il mercato della cessione dei crediti e permettere la ripartenza degli sconti in fattura per effettuare i lavori.

Tutte le forze politiche insomma, chiedono che il governo permetta di introdurre delle modifiche che consentano alle banche di ricominciare ad acquistare i crediti fiscali. Draghi non ha mai nascosto la sua “insofferenza” per il Superbonus.

 

LA MISURA
«È una misura», aveva detto, «che non ci piace». Sia il presidente del Consiglio che il ministro dell’Economia, Daniele Franco, avevano puntato molto il dito sulle colossali truffe ai danni dello Stato che erano nate all’ombra dei bonus. Proprio l’emergere delle truffe aveva convinto il governo, sin dalla fine dello scorso anno, a introdurre delle misure restrittive. Tesoro e Palazzo Chigi hanno chiuso di fatto il recinto degli sconti automatici in fattura, bloccando le cessioni multiple dei crediti di imposta. Ma la stretta è stata talmente forte, che il settore si è totalmente fermato. Molte imprese sono rimaste con il cerino in mano. Si sono trovati cioè in tasca come pagamento, i crediti fiscali ceduti dai clienti ai quali avevano concesso lo sconto in fattura. Ma senza una banca disponibile a monetizzare il credito, si sono trovate impossibilitate ad incassare le somme. Secondo le stime della Cna, ci sarebbero ben 33mila imprese a rischio fallimento per questo motivo, che sono sedute su 2,6 miliardi di euro di crediti non monetizzati. Ma adesso le truffe sono finite. E molte di quelle vecchie non sono derivate dai bonus del 110%, che comunque avevano dei meccanismi di asseverazione. Insomma, qualcuno si attende pure che il governo spenda una parola di chiarezza su questo punto. 


LA MODIFICA
Intanto alla Camera l’emendamento «salva-bonus» è stato inserito tra quelli “segnalati” per il voto. Non tutte le proposte dei parlamentari probabilmente saranno accolte dal governo. Ma anche qui i relatori del provvedimento, Ubaldo Pagano del Pd e Alessandro Cattaneo di Forza Italia, stanno tessendo una paziente rete. Una modifica che sembra possibile, è l’allargamento della platea dei clienti ai quali le banche potranno vendere i crediti fiscali in portafoglio. Oggi possono cederli nella cosiddetta “quarta cessione” solo alle grandi imprese. L’emendamento depositato alla Camera prevede invece un allargamento di questa possibilità di cessione, a tutti i clienti con una Partita Iva e un bilancio superiore a 50mila euro. Un altro passaggio considerato fondamentale, è l’esclusione della responsabilità solidale degli acquirenti successivi. Sia le banche che le imprese che acquistano crediti, in pratica, dovrebbero essere esentate da responsabilità nei confronti del Fisco. Queste due norme insomma, permetterebbero di far ripartire il sistema degli sconti e salvare le imprese. 
 

Ultimo aggiornamento: 17 Giugno, 23:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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