Stirpe (Confindustria): «Ridurre le tasse sugli stipendi dei lavoratori che producono di più»

Il vicepresidente: «Servono incentivi per la contrattazione aziendale. La settimana lavorativa di 4 giorni è possibile solo a parità di costi»

Domenica 5 Marzo 2023 di Umberto Mancini
Confindustria, Stirpe: «L'Autonomia non va. Ridurre le tasse sugli stipendi dei lavoratori che producono di più»

«Bisogna aumentare i salari legandoli alla produttività, incentivando la contrattazione di secondo livello con decontribuzioni e detassazioni». Va dritto al punto Maurizio Stirpe, vicepresidente di Confindustria che in questa intervista al Messaggero invita a considerare con cautela la riduzione della settimana lavorativa a 4 giorni, critica il salario minimo.

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Partiamo dal tema del momento: la settimana lavorativa di quattro giorni. A lanciare l’iniziativa sono ormai più realtà, non solo bancarie, soprattutto all’estero, che propongono o hanno già adottato questa modalità. Lei cosa ne pensa?

«Bisogna prima di tutto fare chiarezza tra la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e una rimodulazione dell’orario.

Su questo credo ci sia molta confusione. Lavorare 40 ore in 4 giorni invece che in 5 cambia poco. Se invece la riduzione dell’orario comporta un aggravio dei costi per l’impresa e quindi la perdita di competitività, siamo sulla strada sbagliata».

Che cosa bisogna fare?

«Dobbiamo costruire una cassetta degli attrezzi per le imprese e lavoratori con gli strumenti che garantiscano da una parte il risultato aziendale e dall’altro la possibilità di rimodulare l’orario. Ci deve essere un risultato positivo sia per i lavoratori che per le imprese. Aggiungo poi che la crescita dei salari non può né deve avvenire a scapito della produttività. Questo è e resta un punto fermo. Così come è evidente che una riduzione dell’orario non può essere disgiunta dal mantenimento o dall’aumento della produttività».

Ma in Italia le ore lavorate sono nelle media europea?

«Sì, siamo nella media, ma su questo fronte credo si debba fare di più».

E’ un invito al governo ad intervenire con la decontribuzione e con la detassazione dei premi aziendali legati alla produttività?

«Il governo deve, a mio parere, oltre che procedere ad un robusto taglio del cuneo fiscale, introdurre incentivi per favorire la contrattazione di secondo livello, aumentando così il potere d’acquisto dei lavoratori. Decontribuzione e detassazione sono strumenti validi che consentono alle aziende di ridurre il costo di lavoro, ai lavoratori di avere benefici in busta paga e al Paese di essere nel complesso più competitivo. Per questo l’esecutivo dovrebbe muoversi in questa direzione».

Per quali categorie?

«Penso soprattutto alla detassazione dei premi di risultato o ad incentivi fiscali per chi assume giovani e donne. Su questo fronte si può fare molto».

Ma le risorse ci sono?

«Si possono certamente trovare. Con 1.200 miliardi di spesa pubblica, gli spazi di manovra per dare una spinta a chi produce ci sono. Basta riorganizzare la spesa per trovare le risorse e aumentare così il potere d’acquisto dei salari a parità di costi per le aziende. E dobbiamo farlo proprio adesso con l’inflazione che morde, la transizione energetica da implementare e il trend da invertire sulla disoccupazione giovanile».

Anche perché senza nuovi giovani che entrano nel mercato del lavoro e con il calo demografico, il nostro welfare rischia grosso...

«Spendiamo circa il 30% del Pil tra sanità, assistenza e previdenza. Bisogna affrontare il problema dell’inverno demografico e farlo subito. Va messa in campo una strategia complessiva per far fronte alle criticità. E’ una operazione possibile, ma fino ad oggi il tema non è stato mai affrontato in maniera organica. Le tendenze in atto devono far riflettere, non ci si può girare dall’altra parte. Molte aziende si sono già mosse autonomamente per aumentare i livelli di welfare per i dipendenti, ma si può fare di più».

In quali settori?

«Per il settore industriale in primis, ma anche servizi e Pa devono puntare sulla contrattazione di secondo livello per incrementare le buste paga, di cui il welfare è un elemento importante».

Serve anche introdurre il salario minimo tra gli strumenti del welfare?

«Il salario minimo è perfettamente inutile nel compatto industriale nel quale, come sa, le soglie minime nei vari settori sono ben al di sopra dei 9 euro lordi proposti. Ma Confindustria non è contraria pregiudizialmente. Crediamo però ben più opportuno parlare dell’articolo 39 della Costituzione, che non è stato mai applicato, piuttosto che del salario minimo ».

Ovvero?

«Credo sia opportuno avere un contratto unico per ogni settore produttivo che abbia efficacia erga omnes, cancellando i mille contratti attuali. Si darebbe così attuazione alla Costituzione che prevede la sottoscrizione dei contratti da chi ha la reale rappresentanza di una categoria, il 50% più 1. In questo modo verrebbe eliminato quel groviglio di associazioni che spesso fa contratti in dumping non avendone i requisiti, cioè la rappresentanza vera. Si tratterebbe di un’operazione per fare chiarezza, così come bisogna farla sull’autonomia differenziata di cui tanto si discute oggi».

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