Una liquidazione più povera per i dipendenti pubblici.
Funziona così: chi va in pensione di vecchiaia, a 67 anni suonati, prende la prima rata, fino a 50 mila euro, di liquidazione, dopo 12 mesi. La seconda dopo altri 12 mesi. Se poi la liquidazione supera i 100 mila euro, bisogna attendere ancora un altro anno. Se si anticipa la pensione, magari a 62 anni con Quota 100, bisogna comunque aspettare i 67 anni per avere la prima rata. Il primo governo Conte, quello che ha introdotto Quota 100, aveva inventato anche un meccanismo per non far attendere troppo ai dipendenti la liquidazione: un anticipo bancario a prezzo calmierato. L’Abi e il governo hanno sottoscritto una convenzione, rinnovata qualche giorno fa per altri due anni, che permette di ottenere un prestito fino a 45 mila euro a un tasso dello 0,40% più il cosiddetto “rendistato”.
L’andamento
Finché i tassi sono rimasti a zero, o sottozero, l’anticipo si è rivelato anche conveniente. Ma adesso il rendistato, un tasso calcolato su un paniere di titoli pubblici, ha iniziato a salire. Per un prestito tra un anno e un anno e mezzo è arrivato a superare l’1% a luglio. A due anni e mezzo è di circa 1,5 punti percentuali. L’anticipo bancario del Tfr-Tfs insomma, costa, se va bene, fino al 2 per cento. Ma è peggio ancora lasciare i soldi all’Inps e attendere la liquidazione dopo due o tre anni. Si riceverebbero soldi “svalutati” del 15% o 20% a seconda dell’andamento del caro vita che, solo quest’anno viaggia al ritmo dell’8%. «È inconcepibile che i dipendenti pubblici debbano rimetterci soldi sul Tfr e sul Tfs», dice Massimo Battaglia, segretario generale Unsa-Confsal, che ha portato la questione della liquidazione fino davanti alla Consulta. «La Corte Costituzionale», aggiunge Battaglia, «nella sua sentenza 159 del 2019 aveva chiesto al Parlamento e al governo di rivedere la disciplina con urgenza, e liquidare immediatamente il Tfr e il Tfs almeno ai lavoratori che avessero raggiunto i 67 anni di età. Ma nessuno si è mosso, nonostante una nostra diffida inviata direttamente a Palazzo Chigi».
E adesso a settembre la questione tornerà davanti ai giudici. Per Sandro Colombi, segretario di UilPa, si tratta di «un danno economico ingiustificabile in un momento in cui sarebbe necessario aiutare i lavoratori dipendenti alle prese con il caro energia e l’aumento dell’inflazione. Serve», prosegue Colombi, «una manovra correttiva immediata». Marco Carlomagno, segretario generale di Fpa, parla di una «vergogna assoluta. Sono», dice, «soldi dei lavoratori. Noi», aggiunge ancora, «abbiamo proposto di usare i risparmi ottenuti su Quota 100 per chiudere questa parentesi del pagamento ritardato della liquidazione e ristabilire una parità di trattamento tra i dipendenti pubblici e quelli privati». Resta la questione del costo di una misura del genere per i conti dello Stato. Ipotizzando una liquidazione media di 70 mila euro per dipendente e il pensionamento di 150 mila lavoratori pubblici l’anno, servirebbe un esborso per le casse pubbliche di oltre 10 miliardi di euro. Non un passeggiata di questi tempi.