Rinnovabili, veti e ritardi: burocrazia e resistenze dei territori frenano impianti solari e pale eoliche

Sfruttando la produzione nazionale si potrebbe avere l’indipendenza energetica

Sabato 3 Dicembre 2022 di Roberta Amoruso
Rinnovabili, veti e ritardi: il conto salato del non fare. Burocrazia e resistenze dei territori frenano impianti solari e pale eoliche

L’imbuto delle autorizzazioni sulle rinnovabili, con tanto di veti delle sovrintendenze e del territorio: ci vogliono minimo cinque anni per passare dall’impianto alla rete. Gli ingorghi inspiegabili che hanno rallentato per oltre un decennio la creazione della macchina degli accumuli di elettricità, le grandi batterie indispensabili per sfruttare tutta la potenza di sole e vento del Paese. Ma anche gli stop infiniti all’ammodernamento delle reti: si è appena sbloccato dopo ben quattro anni l’iter autorizzativo per il rafforzamento della dorsale adriatica che porterà il gas in arrivo da sud verso il nord. E, ancora, lo stop alle trivelle, ora sbloccato, che ha ridotto ai minimi la produzione di gas nazionale: trent’anni fa estraevamo 30 miliardi di metri cubi l’anno, ora circa il 10% mentre siamo seduti su giacimenti valutati 350 miliardi di metri cubi.

C’è tutto questo, insieme a una rotta miope che ha spinto il Paese alla quasi totale dipendenza dal gas russo e dal nucleare francese, dietro un anno di bollette stellari imposte a famiglie e imprese. Un peso destinato a crescere a guardare l’ultimo rincaro certificato dall’Arera, che viene da scelte lontane.

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I PALETTI

Certo, i ricatti dei russi sul gas, in conflitto in Ucraina e la forza della speculazione hanno trovato terreno fertile. Ma se oggi anche il governo Meloni si trova a dover versare di fatto miliardi alla speculazione pur di calmierare il caro-energia è perché sono mancate le scelte di lungo periodo, quelle che avrebbero dovuto mettere in sicurezza il Paese. Già, perché dopo mesi di assegni astronomici girati a Mosca per il gas russo, ora ridotto al minimo, stiamo pagando prezzi stellari per il gnl Usa e il gas algerino. E chissà per quanto tempo lo faremo ancora, visto dopo un 2022 nero ci si aspetta un 2023 ancora più duro sul fronte energetico. L’anno prossimo ci dovrebbero aiutare i rigassificatori, ma ancora una volta dobbiamo fare i conti con i veti. «Eni può importare 7 miliardi di metri cubi di gas liquefatto, ma a condizione che ci siano i rigassificatori», ha avvertito ieri l’ad di Eni, Claudio Descalzi. E su Piombino pesa la sospensiva chiesta dal Comune.

A ricordare quanto sia mancata negli anni anche la necessaria visione sulle infrastrutture, ora non più rinviabile, è stato nei giorni scorsi l’amministratore delegato di Terna, Stefano Donnarumma, intervenendo all’evento organizzato da MoltoEconomia insieme ai quotidiani del gruppo Caltagirone Editore. «L’infrastruttura elettrica di rete italiana è probabilmente la migliore in Europa. E questo rende il Paese potenzialmente un hub energetico», ha spiegato. Negli anni il sud Italia, con al sua produzione di energie rinnovabili è diventato sempre più cruciale anche per l’approvvigionamento del nord». Ma non abbastanza è stato fatto se si rischia una crisi di riserve anche sull’elettricità l’anno prossimo per via del gas russo che mancherà, finora cruciale per produrre il 50% dell’elettricità italiana, e per via dello stop atteso alle importazioni francesi. E allora, «possiamo compensare completamente il gap del gas russo con l’implementazione del programma sulla nuova energia rinnovabile», dice Donnarumma, «Si tratta di 60-70 gigawatt di potenza che corrisponde all’incirca a 28 miliardi di metri cubi di gas». Ma non si fa in un colpo e il rafforzamento dell’infrastruttura per portare l’energia da Sud a Nord diventa cruciale. C’è un piano da 20 miliardi di investimenti da realizzare in dieci anni. Ma si è perso del tempo prezioso. «C’è stato un errore di pianificazione sulle rinnovabili. C’è stato un mancato coordinamento delle aziende energetiche, come dimostra lo scontro, oltre dieci anni fa, tra Terna ed Enel sugli accumulatori, che ne ha bloccato lo sviluppo. E c’è stato la scelta di alcune aziende di investire in altre geografiche invece che in Italia. Oggi capiamo che tutto questo è sbagliato» per l’ad. 

LA SVOLTA

Di qui la necessità di cambiare direzione con la spinta dell’Italia verso il ruolo di hub europeo dell’energia molto caro al premier Meloni. Grazie alla sua posizione geografica, l’Italia è al centro del Mediterraneo e può diventare l’hub di collegamento tra il Nord Africa e l’Europa continentale. I progetti ci sono, gli investitori e le aree idonee anche, ci sarà la rete. Ma servono le autorizzazioni. Quelle che hanno permesso alla Germania di crearsi un giacimento energetico con le pale eoliche nel Mar del Nord, in tempi record.

Ultimo aggiornamento: 14:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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