Pensioni alte, aumenti a metà per finanziare quota 103: la rivalutazione degli assegni avrà meno impatto sugli importi maggiori

Governo al lavoro per reperire le risorse da destinare alla riforma previdenziale. La prevista rivalutazione degli assegni avrà meno impatto sugli importi maggiori

Domenica 20 Novembre 2022 di Luca Cifoni
Pensioni alte, aumenti a metà per finanziare quota 103: la rivalutazione degli assegni avrà meno impatto sugli importi maggiori

La caccia frenetica alle risorse finanziarie è una costante delle ore che precedono la messa a punto della legge di Bilancio. Ma quest’anno l’esecutivo deve fare i conti anche con i tempi strettissimi di una manovra oggettivamente condizionata dal debutto della nuova legislatura. Così alla vigilia del Consiglio dei ministri che dovrà approvare il testo, entrano nel menu misure già sperimentate in passato: oltre ad un inasprimento del prelievo sul settore dei giochi e su quello dei tabacchi, ieri veniva seriamente valutato un intervento sulla rivalutazione delle pensioni, per ridurre in corso d’opera quella degli assegni relativamente più alti. E ricavare per questa via fondi aggiuntivi da destinare a “Quota 103”, il nuovo canale di uscita (temporaneo) riservato ai lavoratori che hanno 62 anni di età e 41 di contributi, alla proroga di Opzione Donna e a quella dell’Ape sociale. 

I capitoli

Come ribadito più volte dal ministro Giorgetti, le voci di spesa (o di minore entrata) che vanno al di là del contrasto al caro-bollette devono trovare finanziamento all’interno degli stessi capitoli.

La revisione del reddito di cittadinanza farà la sua parte, ma il pacchetto previdenza nel suo insieme supera nell’immediato i ricavi attesi da questa mossa. Di qui l’idea di riconsiderare una misura già in passato adottata da vari esecutivi, in modo più o meno drastico (l’azzeramento totale della rivalutazione oltre la soglia di tre volte il minimo Inps decisa nel 2011 fu poi bocciata dalla Corte costituzionale). Stavolta si ragiona su una sforbiciata per i trattamenti che superano le quattro volte il minimo (circa 2.100 euro lordi mensili) o le cinque (circa 2.600). Attualmente la quota di pensione che supera questi limiti viene adeguata rispettivamente per il 90 e per il 75%. La percentuale potrebbe scendere verso il 50%. Di maggiore impatto sarebbe il ritorno al sistema in vigore fino a due anni fa che interveniva, limitandola, sulla rivalutazione non solo degli scaglioni più alti, ma dell’intero reddito pensionistico.

Il decreto

Va ricordato che la “macchina” dell’adeguamento all’inflazione è già partita: il dicastero dell’Economia e quello del Lavoro, sulla base dei dati Istat, hanno approvato il decreto ministeriale che fissa al 7,3 per cento la percentuale provvisoria di rivalutazione da applicare a gennaio, che poi potrà essere aggiustata in vista del 2024 nel caso (non improbabile) che l’effettiva crescita dell’indice dei prezzi al consumo si riveli ancora maggiore. Quindi a complicare le cose c’è il poco tempo a disposizione per l’Inps, che deve provvedere in queste settimane a ricalcolare tutti i trattamenti e definire i nuovi importi prima di gennaio.
Come già indicato dallo stesso esecutivo, il passaggio a Quota 103 dovrebbe essere solo provvisorio ed intermedio rispetto ad un’effettiva riforma della previdenza, che suppone il confronto con le parti sociali e in generale tempi più lunghi di quelli della manovra. Il superamento dell’assetto definito dalla legge Fornero del 2011 potrebbe avere come punto di approdo una quota 41 “pura” (quindi l’uscita con questo requisito contributivo e senza vincoli di età) oppure una formula flessibile che permette di uscire sulla base anticipatamente sulla base di una qualche penalizzazione, basata ad esempio sul sistema contributivo. Due strade non in contraddizione tra loro.

Ultimo aggiornamento: 21 Novembre, 20:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA