Pensioni rivalutate, stipendi no: ecco perché i salari sono fermi nonostante l'inflazione

Perché mentre per le pensioni è previsto un adeguamento automatico al costo della vita la stessa cosa non avviene per gli stipendi

Giovedì 5 Gennaio 2023 di Andrea Bulleri
Pensioni rivalutate, stipendi no: ecco perché i salari sono fermi nonostante l'inflazione

Pensioni rivalutate, stipendi (quasi) fermi a trent'anni fa. E' la doppia faccia dell'inflazione, che nel 2022 si è mangiata, secondo l'Istat, all'incirca il 7 per cento del reddito degli italiani. Ma l'aumento generalizzato dei prezzi al consumo, spinto tra gli altri da fattori come la guerra in Ucraina e l'impennata dei costi dell'energia, non ha colpito tutti allo stesso modo.

Perché mentre per le pensioni è previsto un adeguamento automatico al costo della vita (che quindi rende meno "pesante" il conto dell'inflazione alla fine del mese), la stessa cosa non avviene per gli stipendi dei lavoratori dipendenti. O almeno, non più. Ma qual è il motivo di questa diversità di trattamento?

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La scala mobile

Innanzitutto va ricordato che non è sempre stato così. Fino al 1992, infatti, esisteva un meccanismo di "scala mobile" che adeguava i salari all'inflazione, così da non privare i lavoratori del loro potere d'acquisto. Un sistema poi abolito definitivamente dal governo Amato. Funzionava così: ogni tre mesi, gli stipendi venivano aumentati al crescere del prezzo di alcune merci attraverso una rivalutazione che si bassava sull'indice di prezzi al consumo. 

In Italia questo meccanismo era stato introdotto nel secondo dopoguerra, a seguito di un accordo tra la Cgil e Confindustria. Inizialmente prevedeva un adeguamento dei salari uguale per tutti i lavoratori, indipendentemente dalla categoria ma diversificato per età e genere. Successivamente il meccanismo fu potenziato negli anni '70 con ulteriori accordi tra sindacati e associazione degli industriali. 

 

L'abolizione

Il sistema rimase in vigore fino al 1984 quando subì una modifica da parte del governo guidato da Bettino Craxi. Con il "Decreto di San Valentino" il 14 febbraio 1984 il meccanismo della scala mobile fu tagliato di 3 punti percentuali. Il motivo? Il governo si era reso conto che aumentando i salari al pari dell'inflazione, senza che all'aumento della circolazione della moneta corrispondesse una reale crescita della richhezza prodotta nel Paese, i prezzi continuavano a salire. In pratica, si stava creando una sorta di spirale inflazionistica, che andava interrotta. 

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Contro questo "taglio" tuttavia si mobilitò il mondo operaio con scioperi in piazza e un referendum indotto dal Partito Comunista di cui era Segretario Enrico Berlinguer. Il referendum abrogativo contro il "decreto di San Valentino" si tenne il 9 e il 10 giugno 1985 ma gli italiani votarono per il no all'abrogazione:  il risultato fu di 45,7% SÌ e 54,3% NO alla cancellazione della norma, dunque la scala mobile rimase decurtata di tre punti percentuali. Il 31 luglio 1992 questo sistema verrà definitivamente abolito dal Governo Amato. Dagli anni 2000, infine, l'indennità di contingenza è confluita in un'unica voce retributiva inclusa nel minimo contrattuale per ogni livello di inquadramento dei contratti collettivi e viene aggiornata con cadenza annuale. Per molte ragioni, tuttavia, gli stipendi in Italia continuano a crescere poco: secondo una recente indagine dell'Ocse, dal 1990 a oggi i salari sono aumentati nel nostro Paese soltanto dello 0,3%. 

Le pensioni

Non così per le pensioni, per le quali un adeguamento al costo della vita è rimasto in piedi (anche perché l'assegno è generalmente più basso rispetto a uno stipendio da lavoro dipendente). Per il 2023, infatti, il governo ha disposto una rivalutazione "totale" delle pensioni fino a quattro volte il minimo, ossia fino a 2.101,52 (lordi). Tutti gli assegni di importo pari (o inferiore) a quell'importo, saranno aumentati infatti del 7,3%, ossia il valore dell'inflazione acquisito nel 2022 secondo l'Istat. In pratica, il minimo Inps è  passato da 525,38 euro a 563,73 euro, con un aumento di 38,35 euro mensili ovvero di 498 euro in un anno (tredici mensilità). Per gli importi superiori, invece, l'adeguamento sarà a decrescere. Ossia: rivalutazione all'85% dell'inflazione per la fascia compresa tra quattro e cinque volte il minimo (fino a 2.627 euro lordi), al 53% fino a sei volte (3.152 euro), a diminuire fino al 32% per gli assegni oltre dieci volte il minimo. 

Ultimo aggiornamento: 18:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA