Pensioni, riforma quota 100: tutte le opzioni per uscire dal lavoro prima dei 67 anni

Martedì 3 Agosto 2021
Pensioni, riforma quota 100: tutte le opzioni per uscire dal lavoro prima dei 67 anni
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Il governo sta per dire addio a quota 100. La riforma della previdenza del 2018, fortemente voluta dal governo gialloverde, finirà in soffitta alla scadenza del prossimo 31 dicembre 2021. Dopo quella data, quindi, non varrà più il meccanismo che prevede la pensione anticipata dal lavoro con almeno 62 anni e 38 anni di contributi versati. Il rischio, per molti, è quello dello scaglione: ritrovarsi ad avere i requisiti di quota 100 nel 2022, ma dover improvvisamente aspettare fino ai 67 anni (con almeno 20 di contributi) per uscire dal lavoro, come previsto dalla precedente Legge Fornero. Un rischio che l'esecutivo e in particolare il ministro del Lavoro Andrea Orlando vogliono scongiurare, allargando la platea degli attuali strumenti di uscita anticipata e forse creandone di nuovi (leggermente peggiorativi rispetto a quota 100). È quindi utile ripercorrerli tutti per capire come funzionerà la previdenza dei prossimi mesi.

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Pensioni, quota 100 e la pensione anticipata

Per usufruire del meccanismo di quota 100 il tempo stringe. Dal 2019, infatti, sono state create finestre d'uscita anticipata di tre mesi per i privati e di sei mesi per il pubblico. Quello è il tempo che passa tra l'invio della domanda alla maturazione dei requisiti e l'erogazione dell'assegno. Chi raggiungerà gli standard entro il 31 dicembre 2021 potrà comunque fare domanda, dopo non più.

In alternativa, ad oggi, il primo metodo per evitare di lasciare il lavoro a 67 è la cosiddetta "pensione anticipata", che prevede tuttavia requisiti contributivi difficili da raggiungere. Servono infatti 41 anni e 10 mesi di versamento contributivo per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, senza differenza tra i tipi di lavoro. La soglia è fissa fino al 2026, grazie alla sospensione dell'adeguamento all'aspettativa di vita inizialmente prevista dalla Riforma Fornero.

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Il requisito contributivo, però, si abbassa a 41 anni per tutti se si è lavoratori precoci (e quindi si è lavorato già per 12 mesi prima del compimento dei 19 anni) in particolari situazioni di difficoltà (disoccupati con fine degli ammortizzatori sociali da almeno 3 mesi, invalidi non inferiori al 74%, persone che assistono disabili, addetti a lavori usuranti o a lavori gravosi).

Pensioni, l'Ape sociale e Opzione Donna

Altro metodo di uscita anticipata è l'Ape Sociale, che scade il prossimo 31 dicembre 2021, ma che dovrebbe essere prorogata dal governo Draghi. Permette di andare in pensione con almeno 63 anni e 30 di contributi se si rientra in alcune categorie definite socialmente deboli, come i disoccupati (tre mesi dopo aver usato tutti gli ammortizzatori sociali), i disabili (almeno al 74%) o chi lavora e assiste in casa un familiare disabile. A questi si aggiungono i lavoratori con almeno 36 anni di contributi che svolgono mansioni usuranti (e che le hanno svolte in modo continuativo per almeno sei anni negli ultimi sette e per almeno sette anni negli ultimi dieci). Si va dagli operai dell’edilizia agli infermieri agli addetti alle pulizie. Per le lavoratrici madri in queste condizioni il requisito contributivo di 30 o 36 anni viene ridotto fino a due anni se si hanno più o due figli (con un solo figlio di un anno).

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Sempre per le lavoratrici c'è Opzione donna, anch'essa in scadenza nel 2021, ma in via di proroga o forse di stabilizzazione definitiva con la prossima Legge di Bilancio. Si tratta di un sistema che permette alle donne di ritirarsi dal lavoro ad almeno 58 anni (se autonome a 59, in ogni caso da compiere entro il 31 dicembre 2021) e con 35 di contribuzione. In questo caso, però, il calcolo dell'assegno è fatto tutto con il metodo contributivo, con le lavoratrici che per alcuni anni sono rientrate nel retributivo che potrebbero subire una penalizzazione sull'assegno fino al 30%.

Pensione anticipata, gli altri metodi

Tra gli altri metodi c'è l'isopensione, una difficile possibilità di prepensionamento attivabile dai datori di lavoro con più di 15 lavoratori, totalmente a carico dell'azienda. Fino al 2023 in questo modo si può uscire dal lavoro fino a 7 anni prima, ma serve un accordo sindacale. La società riconosce al lavoratore un assegno pari alla pensione maturata al momento dell’uscita e una contribuzione previdenziale piena

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C’è infine il contratto di espansione, modificato dall'ultimo decreto Sostegni-bis. La misura permette il ricambio generazionale facendo uscire dal lavoro su base volontaria fino a 5 anni prima. Infatti c'è la possibilità di cassa integrazione straordinaria e agevolazioni per l'esodo anticipato, assieme a un piano di assunzioni di giovani, anch'esse agevolate. Possono applicare il contratto le aziende con più di 100 dipendenti.

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La prossima riforma della previdenza

A tutto questo si aggiunge la prossima riforma della previdenza. Al momento è in corso un confronto tra il ministro del Lavoro Andrea Orlando e i sindacati. La prima proposta ed anche la scelta più facile è quella di «consolidare» l’Ape sociale, allargando le categorie di lavori usuranti e ridefinendo i codici Istat per la loro identificazione.

Per gli operai edili, quindi, si potrebbero abbassare da 36 a 30 gli anni di contribuzione minimi per questa forma di pensionamento.

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Per il resto si ragiona su nuovi strumenti per sostituire quota 100. I sindacati propongono quota 41, che permetterebbe di andare in pensione per tutti al 41esimo anno di contributi versati. Opzione che al momento sembra difficilmente accettabile per tutta la maggioranza di governo, anche visto il costo ingente che avrebbe. L'Inps di Pasquale Tridico propone un anticipo della quota contributiva a 63 anni, con quella retributiva che arriva dai 67, oppure un ricalcolo contributivo con rinuncia a quanto maturato con il metodo retributivo (pensione a 64 anni con 36 di contributi o 64 anni e 20 di contributi con un assegno 2,8 volte maggiore di quello minimo sociale).

Ultimo aggiornamento: 10 Agosto, 18:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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