Marina Elvira Calderone, neo ministro del lavoro, dovrà gestire uno dei dossier più scottanti del nuovo governo: la riforma delle pensioni. Tra un paio di mesi scadrà “Quota 102”, lo scivolo che permette di lasciare il lavoro con 64 anni di età e 38 di contributi.
Cosa c’è allora effettivamente sul tavolo della riforma? Il confronto tra sindacati e governo Draghi non era arrivato ad una sintesi sull’uscita anticipata. Il governo aveva proposto uno scivolo a partire dai 64 anni di età, ma con un ricalcolo contributivo dell’assegno. I sindacati, invece, hanno sempre proposto una doppia alternativa: o quota 41 per tutti, o un’uscita anticipata a partire dai 62 anni. Ed è proprio da questi punti che riprenderanno le trattative, che dovrebbero essere rapide, tra il governo e le parti sociali. I tecnici in realtà sarebbero già al lavoro quanto meno per capire i costi delle varie soluzioni sul tavolo. Qualche simulazione sarebbe anche già stata chiesta all’Inps. Su un’ipotesi in particolare: una sorta di Quota 41 “ammorbidita”. Che poi si potrebbe anche tradurre come una Quota 102 bis.
L’idea in pratica sarebbe questa: consentire, almeno per il prossimo anno, di lasciare il lavoro con 41 anni di contributi e 61 anni di età. Il costo stimato di questa soluzione sarebbe, nel primo anno, di 700 milioni di euro. Compatibile, insomma, con i conti pubblici e una manovra che quest’anno potrebbe non avere dei grandissimi margini per riforme profonde delle pensioni. Ma si tratta comunque, di un’ipotesi al momento “tecnica”, a fianco della quale ce ne sono anche altre, come la cosiddetta “Opzione Uomo”, ossia un meccanismo simile a quello già oggi previsto per le donne e che consente il pensionamento anticipato a 58 anni con 35 di contributi accettando il ricalcolo contributivo dell’assegno.
IL PASSAGGIO
E proprio a proposito di “Opzione donna”, va ricordato che alla fine dell’anno questo scivolo andrà a scadenza. Così come pure l’Ape sociale, l’assegno pensionistico che permette l’uscita a 63 anni per chi svolge lavori gravosi. Si tratta di due strumenti che dovrebbero comunque essere confermati, anche perché fino ad oggi hanno avuto costi limitati. Al tavolo tra Draghi e i sindacati si era discusso anche di rendere strutturali le due misure, o quantomeno di allungare l’Ape sociale fino al 2026. Si tratta di due temi che potrebbero essere ripresi anche dal nuovo governo.
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout