Pensioni 2023, la mancata rivalutazione pesa come una tassa: nodo assegni con il contributivo

È tranchant il giudizio che l'Ufficio parlamentare di bilancio dà della norma sulle nuove fasce di rivalutazione inserita in manovra

Sabato 10 Dicembre 2022 di Giuliano Pani
Pensioni, ecco perché la mancata rivalutazione pesa come una tassa: nodo assegni calcolati con il contributivo
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Pensioni, in tempi di inflazione a due cifre, la rivalutazione solo parziale pesa come una nuova tassa. È tranchant il giudizio che l'Ufficio parlamentare di bilancio dà della norma sulle nuove fasce di rivalutazione inserita in manovra. Per le quote delle pensioni calcolate con le regole contributive (destinate a crescere nel tempo), il rallentamento o il congelamento anche temporaneo della rivalutazione «è da considerarsi alla stregua di un'imposta. Se viene indebolita la regolare indicizzazione ai prezzi anno per anno, alla fine il pensionato riceve, come rendita, meno di quanto gli spetterebbe», segnala l'Authority dei conti pubblici, concludendo che «le regole sulla rivalutazione dovrebbero rimanere il più possibile stabili».

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Pensioni, il documento

In un lungo documento depositato presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato che stanno esaminando la legge di bilancio, l'Ufficio guidato da Lilia Cavallari fa quindi il punto sulle principali norme in materia pensionistica, partendo dalla nuova Quota 103. Se tutti coloro che potranno aderire al nuovo sistema lo faranno, le maggiori pensioni in pagamento a fine anno saranno oltre 56.400 nel 2023, circa 40.800 nel 2024 e poco meno di 6.400 nel 2025. Gli utilizzatori sarebbero soprattutto uomini (circa l'85%), nonostante i limiti imposti a Opzione donna che riducono fortemente la platea delle beneficiarie. Poco più del 13 per cento proverrebbe dal comparto pubblico, prosegue l'Ufficio parlamentare di bilancio, spiegando che nel settore privato, circa il 65% sarebbe costituito da lavoratori dipendenti, poco meno del 24% da lavoratori autonomi e il resto da parasubordinati, iscritti alle gestioni separate e lavoratori dello spettacolo (ex Enpals). Il nuovp 'bonus Maronì, l'incentivo a restare al lavoro è invece «meno conveniente» del bonus del 2004 e rischia di non risultare particolarmente appetibile, «se non per chi ha un immediato bisogno di liquidità».

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Pensioni, il nodo quota 103

La norma prevede che chi entro il 2023 soddisferà i requisiti di Quota 103 ma sceglierà di non andare in pensione anticipata potrà chiedere che i contributi a proprio carico (poco più del 9% della retribuzione lorda) non vengano versati dal datore di lavoro all'Inps, ma in busta paga. La misura, un incentivo a non lasciare il lavoro prima di aver maturato i requisiti di anzianità o vecchiaia, prende a modello il cosiddetto «bonus Maroni» del 2004, che però, sottolinea l'Ufficio parlamentare di bilancio, era più conveniente per tre ragioni. Innanzitutto all'epoca i requisiti per la pensione erano molto inferiori, quindi la misura si rivolgeva a lavoratori più giovani, per i quali era meno gravoso continuare a lavorare; inoltre in busta paga erano riconosciuti sia i contributi a carico del lavoratore sia quelli a carico del datore di lavoro; infine, le pensioni dei lavoratori coinvolti erano calcolate per intero con il metodo retributivo e questo rendeva convenienti le uscite anticipate. A prova della scarsa appetibilità del meccanismo, l'Upb cita la Relazione tecnica alla misura in cui si stima che l'agevolazione sarà usata da appena 6.500 persone, ossia meno del 10% degli individui che, secondo stime basate su dati Inps, l'anno prossimo saranno ancora in attività pur avendo i requisiti per andare in pensione.

Ultimo aggiornamento: 12 Dicembre, 09:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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