Pensioni, aumento del 3% per chi lascia il lavoro nel 2023. L’Inps adegua il coefficiente al calo dell'aspettativa di vita

È la prima volta che il meccanismo contributivo fa aumentare gli importi

Lunedì 2 Gennaio 2023 di Andrea Bassi
Pensioni, aumento del 3% per chi si ritira nel 2023. L’Inps adegua il coefficiente al calo dell’aspettativa di vita

La cattiva notizia è che la speranza di vita degli italiani si è accorciata. Quella che rende un po’ meno amara questa pillola, è che le pensioni di chi lascerà il lavoro quest’anno saranno più alte. È l’effetto del sistema contributivo di calcolo degli assegni che si basa sui cosiddetti «coefficienti di trasformazione». Il concetto può essere semplificato così: alla fine dell’attività, il lavoratore ha accumulato un certo ammontare di contributi. Questi contributi saranno versati al lavoratore stesso dall’Inps sotto forma di pensione per un certo numero di anni. E il coefficiente di trasformazione serve proprio a stabilire l’entità della pensione in base al numero di anni che si “stima” l’assegno dovrà essere versato.

Se la speranza di vita aumenta, la pensione scende. Se la speranza di vita si riduce, la pensione sale. Ed è proprio quello che è accaduto negli ultimi due anni a causa della pandemia: la speranza di vita per la prima volta dopo anni invece di aumentare si è ridotta. Secondo le previsioni dell’Istat il calo sarebbe di 1,2 anni. Così nei giorni scorsi, l’Inps ha rifatto i conteggi dei coefficienti di trasformazione per il biennio 2023-2024.

IL CONTEGGIO

Chi lascerà il lavoro quest’anno, avrà di partenza una pensione più elevata tra il 2 e il 3 per cento a seconda dell’età di pensionamento. Prendiamo il caso di un sessantaduenne. La sua pensione sarà del 2,35 per cento più alta di quella di un omologo che ha lasciato il lavoro, con gli stessi requisiti nel 2022. Per un sessantacinquenne, la pensione di partenza sarà più elevata del 2,53 per cento, mentre per un settantenne si arriverà fin quasi al 3 per cento (2,90 per l’esattezza). La novità, va detto, non riguarda tutti i pensionati, ma comunque ne coinvolge molti. Si applica a tutti coloro che hanno almeno una parte della loro pensione calcolata con il metodo contributivo. Dunque si applica in pieno a chi ha iniziato a lavorare a partire dal 1996. Ma anche a chi esercita l’opzione per il ricalcolo contributivo della pensione, come nel caso per esempio di Opzione donna. Ed ancora, a chi ha meno di 18 anni di contributi fino al 1995 o anche “almeno” 18 anni di contributi alla stessa data e anzianità contributive ulteriori a partire dal 2012. 

La platea, insomma, è ampia. Quello effettuato dall’Inps è il sesto aggiornamento biennale dei coefficienti di trasformazione, ma è la prima volta che questi ultimi aumentano la pensione invece di ridurla. Lo scopo dei coefficienti, del resto, è analogo a quello che nel sistema contributivo svolge l’adeguamento automatico dell’età di pensionamento alla speranza di vita. Più aumenta la speranza di vita, più si va tardi in pensione, e più basso diventa l’assegno proprio per l’operare dei coefficienti di trasformazione. Ma questo meccanismo si è inceppato con la pandemia e con la riduzione della speranza di vita. E la stessa Ragioneria generale dello Stato ne ha dovuto prendere atto. Nel 2012 a seguito della riforma Fornero, aveva programmato che la pensione di vecchiaia, negli anni 2021 e 2022 si sarebbe dovuta percepire con 67 anni e 3 mesi di età. Quest’anno e il prossimo, sempre secondo le stime iniziali della Ragioneria, si sarebbe dovuti salire a 67 anni e 5 mesi, mentre nel biennio 2025-2026 si sarebbe passati a 67 anni e 9 mesi. 

La pensione anticipata, sempre secondo le stime iniziali della Ragioneria, avrebbe dovuto essere percepita, nel 2021 e nel 2022 con 43 anni e 6 mesi, nel 2023 e nel 2024 con 43 anni e 8 mesi e nel 2025 e nel 2026 con 44 anni. Invece, a distanza di 10 anni con una recente nota di aggiornamento i tecnici del ministero dell’Economia hanno rilevato che i requisiti per accedere alle pensioni non dovrebbero subire incrementi, nell’età e nella contribuzione, fino al 2026 per effetto della riduzione della speranza di vita nel periodo che va dal 2019 al 2021. 

IL PASSAGGIO

Tutti i requisiti della legge Fornero, tuttavia, saranno oggetto come ha annunciato il ministro del lavoro Marina Calderone, di una riforma strutturale. A questo proposito, il prossimo 19 gennaio si terrà il primo tavolo di trattativa sul tema tra il governo e i sindacati. L’intenzione sarebbe quella di arrivare a una «Quota 41» generalizzata. Ossia permettere il pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica. I 41 anni non dovrebbero nemmeno più subire l’adeguamento biennale alla speranza di vita. Ma si tratta di un progetto che necessariamente dovrà fare i conti con le risorse finanziarie a disposizione e con i possibili dubbi della Commissione europea, che lega alla sostenibilità del sistema pensionistico quella del debito pubblico italiano. Il passaggio, insomma, non sarà semplice. 

Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 14:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA