Pascal Saint-Amans (Ocse): «L’aliquota minima globale può aumentare oltre il 15%. Via le web tax nazionali»

Venerdì 9 Luglio 2021 di Luca Cifoni
Pascal Saint-Amans (Ocse): «L’aliquota minima globale può aumentare oltre il 15%. Via le web tax nazionali»

Pascal Saint-Amans è il direttore del Centre for tax policy and administration dell'Ocse. In questa veste ha gestito le trattative che hanno portato all'intesa tra 131 Paesi, sulle nuove regole fiscali per le multinazionali, che ora è all'attenzione del G20 dei ministri finanziari a Venezia.

Il negoziato è durato anni. Quali erano gli ostacoli e cosa è cambiato negli ultimi mesi?
«Il tema principale era l'ambito di applicazione del primo pilastro del pacchetto, ossia quali aziende dovessero essere comprese.

Gli Stati Uniti erano contro qualsiasi intesa che si applicasse specificamente alle aziende digitali e quindi avevano proposto il concetto di porto sicuro, a sua volta non accettabile per molti Paesi. Con la nuova amministrazione americana c'è stata una rinnovata spinta per un approccio multilaterale e la trattativa si è sbloccata con la proposta di includere le imprese più grandi e con maggiori profitti, digitali o meno. Un approccio ulteriormente rafforzato con l'accordo del G7 a giugno. Questo ambito così definito ha anche il vantaggio di ridurre il numero delle imprese coinvolte mantenendo però allo stesso tempo la stessa quota di utili globali. Il risultato è quindi una soluzione più facile da gestire ma che comprende comunque i colossi digitali. Poi si è discusso anche su altri punti chiave come il livello dell'aliquota minima globale».

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Ne è uscito un accordo di compromesso. È un buon compromesso?
«Il mondo aveva bisogno di una soluzione. Era chiaro da tempo che le regole in vigore non funzionavano più e questo ha spinto molti Paesi ad azioni unilaterali, ovvero prevedere proprie imposte digitali. Che però sarebbero risultate scoordinate creando problemi di doppia tassazione, dispute commerciali e incertezza, con un costo quantificato intorno all'1 per cento del Pil globale. Ognuno doveva cedere su qualcosa e alla fine abbiamo ottenuto la prima fondamentale riallocazione di diritti di tassazione in 100 anni. Così nei Paesi diversi da quelli di origine delle multinazionali sarà possibile tassare le imprese che fanno utili da consumatori e utenti locali. Non saranno più praticabili transazioni attraverso centri finanziari privi di reale rilevanza commerciale. Migliorerà la capacità dei Paesi di tassare alla fonte. I Paesi in via di sviluppo hanno ottenuto molte cose, tra cui la possibilità di rivedere l'ambito dopo sette anni, una soglia più bassa per l'applicazione del primo pilastro e uno standard minimo che permette loro di proteggere i diritti di tassazione su specifici tipologie di pagamenti che potrebbero erodere la base imponibile».

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Qualcuno dice che l'aliquota minima del 15% è troppo bassa. Potrebbe salire?
«Una gran parte degli utili aziendali è soggetta ad un'aliquota effettiva inferiore al 15%, anche se nei Paesi di origine l'aliquota nominale sarebbe molto più alta. Quindi questo compromesso è un buon risultato. Va anche ricordato, d'altra parte, che molti Paesi aderenti all'intesa hanno aliquote più basse. Certo a qualcuno sarebbe piaciuto un livello minimo più alto. Vedremo se sarà possibile accordarci in questo senso, ma quello ottenuto è già un buon risultato».

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Come si applicherà questo quadro di regole ai colossi del web? Potrebbero riuscire a sottrarsi?
«Le regole del primo pilastro riguardano tutte le imprese con un fatturato di almeno 20 miliardi di euro e un margine di profitto superiore al 10 per cento: molte di queste corrispondono proprio ai colossi digitali. Ci sono norme specifiche su come calcolare gli utili e come attribuire il fatturato ai territori in cui si trovano i clienti: questo eviterà gli arbitraggi a cui attualmente fanno ricorso le aziende, che si dovranno quindi adeguare. Ma un punto chiave dell'intesa è la certezza dell'imposizione, che eviterà contenzioso e doppia tassazione: questo è un vantaggio anche per loro».


Le web tax nazionali che fine faranno?
«Dovranno essere ritirate, è un punto decisivo. Queste imposte servono a raccogliere gettito dalle imprese digitali che in base alle regole esistenti non sono soggette a tassazione nei posti in cui fanno utili. Con le nuove regole il presupposto viene meno».


Cosa si aspetta dal G20 di Venezia?
«Tutti i Paesi del G20 hanno aderito alla dichiarazione sull'accordo e quindi ci aspettiamo un forte sostegno politico ed anche la collaborazione per riuscire a finalizzare rapidamente l'intesa e ad allargarla agli Stati che non hanno ancora firmato. Del resto il G20 è stato fin dal 2009 uno strumento che ha contribuito alla nuova architettura del fisco internazionale».


Quali sono i prossimi passi da qui al 2023? Quanto sarà difficile mettere in pratica i principi in 131 Paesi diversi?
«La dichiarazione contiene un numero di punti sui quali i Paesi devono ancora concordare i dettagli: ad esempio la riallocazione degli utili dovrà essere tra il 20 e il 30 per cento e la tassa minima globale dovrà avere un'aliquota di «almeno» il 15 per cento: le cifre esatte sono ancora da decidere. L'accordo sarà finalizzato nel prossimo mese di ottobre, completo di un piano di implementazione che comprenda modelli legislativi e linee guida. L'idea è completare questo lavoro nel 2022 e concretizzare il tutto nel 2023. È un calendario ambizioso ma è decisivo fare il più presto possibile».

Ultimo aggiornamento: 11:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA