Obbligati a crescere, Tria: «Debito, 20 giorni per convincere la Ue»

Mercoledì 12 Giugno 2019 di Rosario Dimito
Obbligati a crescere, strategie per l'Italia: al via l'evento del Messaggero

«Spiegare e anticipare». Così ieri mattina, alla terza edizione dell’evento “Obbligati a crescere”, il ministro Giovanni Tria ha descritto la strategia che già oggi sarà chiamato ad applicare, nella riunione dell’Eurogruppo in programma a Lussemburgo. L’obiettivo, condiviso da tutta la platea, è evitare che il nostro Paese finisca in una procedura per debito eccessivo, di fatto sorvegliato speciale ed esposto alla sfiducia dei mercati finanziari.

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Tria è intervenuto alla fine del dibattito - cui hanno partecipato Romano Prodi, Lucia Aleotti, Claudio Descalzi, Carlo Messina, Carlo Cimbri e Marco Tronchetti Provera - subito dopo la conclusione del vertice a Palazzo Chigi dove è stato affrontata proprio la questione della procedura sul debito. Ebbene, per tentare di risolvere la questione, il ministro si è dato 20 giorni: entro i primi di luglio il negoziato con la Commissione dovrebbe essere concluso. Il nodo per il Mef, in queste ore, è riuscire a convincere Bruxelles che le maggiori entrate attese e i risparmi su Quota 100 e Reddito basteranno a rimettere il Paese sul percorso di risanamento dei conti pubblici. Dal quel che si è capito, bisognerà anticipare i nuovi numeri con qualche documento più o meno ufficiale e vincere così la partita magari ricorrendo a regole “esoteriche” (i complessi calcoli che considerano l’output gap, ovvero lo scarto tra crescita potenziale e crescita effettiva); in modo da poter poi guardare più avanti, ai problemi più gravosi del 2020.

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Ma se anche la trattativa sulla procedura andrà in porto positivamente, la sfida posta dagli oltre 2.360 miliardi di debito non è certo destinata ad esaurirsi, aveva in precedenza sottolineato il banchiere Messina. La premessa è che per ridurre il rapporto debito/Pil non è sufficiente attendere la crescita. Occorre un’operazione che vada a tagliarne subito l’importo assoluto, rispondendo anche alla domanda di investimenti redditizi che c’è nel Paese e fuori. Messina ha quindi illustrato un’ipotesi che farebbe scendere in campo il sistema bancario. L’idea è creare dei fondi immobiliari territoriali (fiscalmente agevolati con una normativa simile a quella dei Pir) ai quali potrebbero essere ceduti immobili dello Stato, delle Regioni e dei Comuni. I titoli emessi da questi soggetti sarebbero appetibili per gli investitori nazionali, comprese le banche, ma probabilmente anche per quelli internazionali. E si creerebbe lo spazio per azioni di valorizzazione del patrimonio immobiliare: la dimensione locale permetterebbe ai cittadini di percepire queste come operazioni legate al territorio e non esclusivamente finanziarie. La difficoltà, già emersa in passato, sta nel mettere insieme i vari livelli di governo e coordinare la scelta degli immobili con le esigenze della Pa. 

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Messina ha voluto però evidenziare come uno schema di questo tipo porterebbe ad un assetto «sovranista» in cui gli italiani potrebbero «ricomprarsi la scuola del figlio o la caserma». Tria ha comunque risposto di voler «approfondire» la proposta. «In piccolo - ha spiegato il ministro - stiamo andando in questa direzione costituendo con le società del Mef, in particolare Invimit, dei fondi, sebbene di dimensioni minori, per privatizzare l’immobiliare». Ci sono però anche dei nodi da sciogliere, come quello emerso in passato quando si decise di vendere immobili pubblici lasciando però che le amministrazioni continuassero a usarli come prima pagando l’affitto.
 

 

Ultimo aggiornamento: 13 Giugno, 13:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA