Recovery Fund, l'economista Jean Paul Fitoussi: ​«È tempo di prendere i soldi e usarli “frugali” antidemocratici, sfidiamoli»

Giovedì 2 Luglio 2020 di Francesca Pierantozzi
L'economista Jean Paul Fitoussi: «È tempo di prendere i soldi e usarli “frugali” antidemocratici, sfidiamoli»

«L’Italia deve prendere i soldi, da qualunque parte arrivino. Non deve rinunciare nemmeno a un centesimo. La crisi è qui, adesso, e le popolazioni vanno protette»: non sono certo i cosiddetti “Frugali” a impensierire Jean-Paul Fitoussi.

L’economista francese, docente alla Luiss, combatte da sempre le politiche di austerità: «dal 1993» precisa, con una certa amarezza, ma anche con un certo ottimismo, «oggi è la prima volta che vedo delle politiche keynesiane, e queste politiche non hanno mai fallito». 
Nel suo ultimo libro uscito in autunno da Einaudi, “La neolingua dell’Economia” criticava il lessico di un’ortodossia economica che si è fatta dogma. La versione francese, aggiornata con la crisi planetaria del Covid, uscirà a settembre per le edizioni “LLL Les Liens qui Libèrent”.

Professore, lei non ha mai risparmiato critiche alla politica economica tedesca. Oggi non trova Angela Merkel un po’ più simpatica? 
«Ho sempre detto che la politica tedesca è stata sempre fatta nell’interesse tedesco e mai nell’interesse dell’Europa. In fondo è normale: ogni paese difende i propri interessi. Sono gli altri paesi che non avrebbero dovuto accettare quelle regole, e avrebbero dovuto opporsi alla Costituzione o al Fiscal Compact. Sapevano che il sistema europeo avrebbe premiato il paese meno inflazionista. Ma oggi, sì, lo ammetto, la cancelliera mi sta più simpatica».

Il Recovery Fund è una piccola rivoluzione? 
«Finalmente vedo l’abbozzo di un eurobond. E’ un indiscutibile passo avanti, anche se purtroppo si tratta solo di 500 miliardi. Diciamo che è una cura omeopatica, era il minimo che potessimo fare, e nonostante questo i cosiddetti paesi Frugali continuano a mettere i bastoni fra le ruote». 

L’Italia che deve fare? 
«E’ presto detto: l’Italia deve prendere i soldi da qualunque parte provengano. Non deve rinunciare nemmeno a un centesimo. Si discute sulle condizioni? Lasciamoli discutere, l’Italia le accetti pure tutte, e poi non le segua». 

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Non esagera? 
«Sono gli altri che esagerano. E’ inammissibile. Chiedere condizioni in questa circostanza significa essere antidemocratici». 

Bisogna sfidare i cosiddetti frugali, nostri partner europei? 
«La loro posizione è antidemocratica. L’Italia non è responsabile del Covid. Giuseppe Conte fa bene a porre il problema dei “rebates”, gli sconti sui contributi al bilancio comunitario dei cui godono alcuni paesi. Fa bene a evocare un veto. Occorre battersi. Opponga un ricatto all’altro. Quello che deve fare l’Italia è darsi un programma con degli obiettivi su come spendere i fondi, e gerarchizzare questi obiettivi». 

E la polemica sul Mes come la vede? I francesi non sanno nemmeno cosa sia, per gli italiani è un elemento di battaglia quasi ideologica. 
«Ripeto: è il momento di prendere i soldi e di usarli. Tanto più che l’obiettivo della linea di credito del Mes è ora di finanziare la sanità e l’Italia ne ha bisogno. Non ci sono condizioni, spetta all’Italia stabilire un piano da finanziare con il Mes, a un tasso praticamente negativo. Sarebbe davvero stupido rinunciare a causa della brutta reputazione che il Mes ha acquisito al momento della crisi greca. Oggi la situazione è molto diversa». 

La situazione è diversa, eppure le vecchie abitudini sono dure a morire. Il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis ha fatto sapere che si pensa già a rivedere la sospensione delle regole del Patto di stabilità. Ci risiamo con le vecchie politiche prima ancora che le nuove dimostrino se sono efficaci? 
«Bisogna capire che gli europei che hanno sempre favorito la politica di austerità non hanno cambiato dottrina e adesso soffrono da morire nel vedere l’Europa spendere. Io dico che bisogna lasciarli parlare, e vedere quello che accade, perché avremo la prova che le politiche attive sono molto più efficaci di quelle passive, che le politiche discrezionali funzionano molto meglio delle regole che si era data l’Europa. Questo è stato sempre dimostrato, dovunque, e vale ancora oggi. Gli ortodossi credono nell’austerità come fosse una religione. Lasciamoli dire, noi andiamo avanti. Vedo dei segnali che mi rendono ottimista, anche se non mi faccio illusioni sul grado di sincerità di questa subitanea conversione al keynesismo. Ma in queste circostanze, decidere di tornare alle regole di austerità significherebbe decidere di non voler proteggere le popolazioni. Questo non è più possibile». 
 

Ultimo aggiornamento: 07:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA