Manovra, il ministro per il mezzogiorno Provenzano: «Al Sud non ci saranno tagli, agevolazioni fino al 2029»

Mercoledì 23 Dicembre 2020 di Nando Santonastaso
Manovra, il ministro per il mezzogiorno Provenzano: «Al Sud non ci saranno tagli, agevolazioni fino al 2029»

Ministro Provenzano, partiamo dalla stretta attualità di queste ore: è vero che nella legge di Bilancio, appena approdata alla Camera, le risorse destinate alla fiscalità di vantaggio per le imprese del Sud sono state tagliate?
«Non è così, anzi risponde Peppe Provenzano, ministro per il Sud e la Coesione territoriale - nella manovra, la fiscalità di vantaggio viene confermata fino al 2029 e finanziata per gli stessi importi, utilizzando minori risorse europee ma di conseguenza con maggiori risorse nazionali.

Dunque, l'effetto è di un maggiore riequilibrio nel bilancio pubblico, confermando una misura che punta su un Sud che lavora e che produce come una grande priorità nazionale. E per me questo conta moltissimo, altro che tagli».

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Una soluzione tecnica, insomma, non una revisione al ribasso delle risorse occorrenti?
«Assolutamente. L'impianto meridionalista della manovra esce rafforzato dall'esame della Commissione Bilancio della Camera. E lo stesso vale per questa rimodulazione di fondi europei del React-Eu. Prima prevedevamo di finanziarci quasi solo la decontribuzione. Ora, in piena sintonia con la Commissione, abbiamo deciso di finanziarci anche l'allargamento della no tax area per le iscrizioni all'università, ad esempio. Per l'anno accademico 2020-21 le immatricolazioni negli atenei meridionali sono aumentate del 7,5%, dopo anni di preoccupanti segni negativi. Certo, ha influito anche la pandemia ma ad invertire la tendenza ha sicuramente contribuito questa misura. Lo considero il dato più incoraggiante dell'intero 2020».


Quanti dei 14 miliardi del React Eu andranno allora al Mezzogiorno?
«Oltre il 66%, praticamente 8,6 dei 14 miliardi assegnati all'Italia. Si tratta di un pezzo del Next Generation Eu gestito direttamente dalle politiche di coesione».


Se così avvenisse anche per il resto dei 209 miliardi del Next Generation Eu le certezze per colmare il divario del Sud sarebbero enormi. Non crede che il 34% sia troppo poco per raggiungere quest'obiettivo?
«Si è aperto un importante dibattito su questo tema. Pezzi di classe dirigente meridionale stanno reclamando esattamente quella percentuale, sulla base di criteri europei di assegnazione delle risorse che, per la verità, si applicherebbero solo sugli aiuti diretti, i cosiddetti grants, pari a circa 65 miliardi. Io credo che bisogna avere un'ambizione più alta. Rendere cioè il Mezzogiorno protagonista del complesso delle risorse che possiamo ottenere dal Recovery Fund. Il 34%, di cui si parla in bozze peraltro non ancora discusse dal governo, non era una ripartizione di risorse ma un esercizio tecnico di stima: anche con quella percentuale minima, prevista dalla legge dopo una battaglia non scontata, l'impatto economico è molto positivo, una crescita del 5% annuo. Va preso come uno stimolo a fare di più».


Fanno bene allora i governatori del Sud al completo, le associazioni meridionaliste e ora anche i deputati meridionali a sollecitare percentuali per le risorse al Sud ben diverse dal 34%?
«Su questo voglio essere chiaro: per me il Sud deve andare ben oltre quella quota. E non per una rivendicazione territoriale, visto tra l'altro che il Piano di ripresa e resilienza è nazionale, ma perché i fabbisogni di investimento sulle missioni concordate con la Ue e i risultati che vogliamo ottenere sono maggiori al Sud. Ben venga la mobilitazione delle istituzioni meridionali, è un bene che i presidenti di Regione escano dai loro confini amministrativi e finalmente si parlino: ma, ripeto, la mobilitazione non va fatta sulle quote ma sulla progettualità. Io ho proposto al Consiglio dei ministri che l'obiettivo del riequilibrio territoriale non sia limitato ai progetti proposti dal mio ministero ma perseguito ed esplicitato in ogni missione di investimento del Piano. Non solo, ma diventi anche criterio prioritario di allocazione territoriale per il raggiungimento dei risultati. Se, ad esempio, si dovranno raddoppiare gli asili nido, è evidente che l'investimento si deve fare al Sud».


Non crede però che su settori strategici, dalla sanità ai trasporti, non sarà così scontato garantire maggiori risorse al Sud?
«Qui c'è un tema generale. Nel Piano dobbiamo rafforzare gli investimenti rispetto agli incentivi. Sono gli investimenti che possono ridurre il divario perché interesseranno soprattutto scuola, sanità e mobilità, tre settori in cui il Mezzogiorno deve recuperare decenni di disinvestimento. Non dimentichiamo poi che il Pnrr recepisce il Piano Sud 2030 e inoltre che per il Sud non ci sono solo le risorse del Recovery. Per il Mezzogiorno c'è un complesso di investimenti pubblici senza precedenti, anche superiori a quelli della Cassa per il Mezzogiorno: dai 73 miliardi previsti per il Fondo sviluppo coesione, l'80% destinati al Sud, di cui i primi 50 disponibili già a partire dal prossimo anno, all'aumento del cofinanziamento nazionale sui Fondi strutturali europei che porta a 53 miliardi le risorse disponibili sempre per il Sud, 7 in più del ciclo di programmazione precedente. Con la riprogrammazione a causa della pandemia, poi, la nostra credibilità in chiave Europa è molto cresciuta perché abbiamo accelerato la spesa. Oggi chiuderemo l'ultimo accordo con la Sicilia, parliamo di 12 miliardi mobilitati per l'emergenza sanitaria ed economica. Insomma, quando dico che il tema su cui concentrarci non sono le risorse, non è perché non contano, ma perché stavolta ci sono. La sfida, sia a livello centrale che regionale ora è spendere, farlo bene e in tempo».


Non sarà facile considerata la scarsa capacità amministrativa del Mezzogiorno...
«Ecco perché insisto a concentrarci sulla progettualità. Prendiamo gli ecosistemi dell'innovazione al Sud, per replicare il modello di San Giovanni a Teduccio: qui si possono convogliare altri interventi del Recovery sulla digitalizzazione, la ricerca, la sostenibilità, ma anche la rigenerazione urbana, i servizi. Quanto alla capacità amministrativa, dovremmo smetterla di discutere solo di chi gestisce le risorse, perché il problema è la capacità dell'intera macchina pubblica di metterle a terra. Per questo abbiamo previsto il piano di rigenerazione amministrativa, con le 2.800 assunzioni di giovani qualificati nella Pa meridionale. Per andare ben oltre il 34%, dobbiamo capire che il meccanismo del Recovery Fund non funziona per quote, ma se c'è buona capacità amministrativa e progettuale. Servono anche le riforme, però: il green deal ad esempio potrebbe portare finalmente il Sud a un ciclo integrato dei rifiuti, ma come potrà mai impattare in una Regione se non ha ancora un piano rifiuti all'altezza?».

Ultimo aggiornamento: 08:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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