Per l’Imu è l’ora di passare alla cassa.
Al momento invece sono chiamati a versare senza alcuno sconto i proprietari che in realtà non hanno la disponibilità del proprio immobile a causa del blocco degli sfratti scattato ormai 15 mesi fa. Sul tema è in corso una mobilitazione che ha portato ad una sostanziale intesa di maggioranza alla Camera: in commissione Bilancio sono stati presentati praticamente da tutte le forze politiche emendamenti al decreto Sostegni bis che con varie modalità puntano a esentare i contribuenti incappati nel blocco, quanto meno per quanto riguarda la prima rata (il saldo è in calendario come al solito a dicembre). Le novità scatterebbero solo con l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto e quindi oltre il 16 giugno: per cui è previsto un meccanismo di rimborso per gli interessati.
IL PRESSING DI CONFEDILIZIA
Sul punto si sono pronunciati piuttosto chiaramente i due relatori del provvedimento, Massimo Bitonci della Lega e Giuseppe Buompane del Movimento Cinque Stelle. Ora dunque si tratta di vedere cosa deciderà il governo. Da tempo è in corso un pressing da parte di Confedilizia, l’organizzazione dei proprietari, che ha avuto anche un incontro con il ministro delle Infrstrutture e della mobilità sostenibili Enrico Giovannini. Quanto al costo per il bilancio dello Stato, l’intervento di alleggerimento riguarderebbe circa 100 mila casi di sfratto sospeso, con un impatto stimato dalla stessa Confedilizia (per entrambe le rate dell’imposta) in circa 70 milioni sulla base di rendite catastali e aliquote standard.
Numeri non giganteschi rispetto alla dimensione complessive dell’Imu. Uno studio della Uil quantifica in 9,8 miliardi il gettito atteso per la prima rata e in 19,6 quello complessivo che comprende il versamento di dicembre. I contribuenti interessati sono circa 25 milioni. Questi conteggi includono già le esenzioni di cui sopra, connesse alla crisi pandemica. Quanto alla platea, il 41 per cento dei contribuenti Imu è lavoratore dipendente o pensionato. Naturalmente è molto variabile l’importo della rata, che dipende dalla rendita catastale dell’immobile e dell’aliquota applicata dal Comune di residenza. Per quanto riguarda le “seconde case” l’aliquota media applicata è pari al 10,6 per mille ma in molte città (tra cui 18 capoluoghi) è in vigore l’addizionale pari allo 0,8 per mille, corrispondente alla Tasi (prima della recente unificazione dei due tributi). L’aliquota arriva quindi al valore massimo dell’11,4 per mille.
REALTÀ DIVERSE
Con queste premesse, spiega Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil, la somma media che i contribuenti devono versare tra saldo e acconto per un’abitazione diversa da quella principale “a disposizione” (ovvero non affittata) è pari a 1.070 euro. La metà va versata con l’acconto in scadenza tra tre giorni.
La media nasconde però realtà molto diversificate. Prevedibilmente, gli importi maggiori toccano i contribuenti delle grandi città: quello più in alto in assoluto è a Roma con 2.064 euro medi. A Milano, invece, si pagheranno 2.040 euro medi, a Bologna 2.038, a Genova 1.775 a Torino 1.745. Sempre nell’ambito delle città capoluogo, valori più bassi si registrano invece ad Asti con un costo medio di 580 euro, a Gorizia con 582 euro, a Catanzaro con 659, a Crotone con 672 euro e a Sondrio con 674.