Imprese, niente multe a quelle che traslocano all'estero: cade la proposta di sanzioni e black list

Domenica 5 Settembre 2021 di Giusy Franzese
Imprese, niente multe a quelle che traslocano all'estero: cade la proposta di sanzioni e black list

La libertà di impresa non sarà messa in discussione. Ma la salvaguardia di questo fondamentale principio, non significa che tutto è lecito. Non lo saranno più comportamenti che si scontrano con l'etica del lavoro, come i licenziamenti via whatsapp, mail o sms. La bozza della norma anti-delocalizzazione è pronta. Per lunedì è prevista una riunione Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero del Lavoro. Poi approderà a Palazzo Chigi e sarà direttamente il presidente del Consiglio a tirare le fila e a ricomporre le polemiche. Il punto finale arriverà presto, probabilmente entro la prima metà di settembre ci sarà il promesso confronto con le parti sociali, a partire da Confindustria ma non solo.
Non sarà un pacchetto chiuso, qualcosa potrebbe ancora cambiare. Intanto i punti più caldi sono già stati limati: non c'è più traccia di black list e non ci sono maxi-multe sul fatturato. Insomma, non sarà una norma punitiva per le imprese. Ieri lo ha ribadito il ministro del Lavoro Andrea Orlando: «Nessuno pensa che si possa impedire di chiudere a un'impresa con un decreto, però c'è l'esigenza di imporre dei percorsi che consentono un ripensamento di quella scelta.

Bisogna contrastare comportamenti inaccettabili».

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PLATEA CIRCOSCRITTA
La bozza di decreto, che per quanto riguarda il Mise è stata seguita dall'inizio dalla viceministra Alessandra Todde, si rivolge a una platea circoscritta: imprese o gruppi con oltre 250 dipendenti, non in crisi, che hanno goduto di finanziamenti pubblici. Secondo i dati Istat in Italia attualmente ci sono circa 4.000 imprese con oltre 250 dipendenti. Ma soltanto qualche centinaio ha usufruito di finanziamenti pubblici, europei, nazionali o regionali. Tra queste ci sono anche i casi di questi ultimi mesi: Gkn e Whirlpool.


La norma allo studio non impedirà alle multinazionali che cambiano i loro programmi di investimento e di espansione di andare via dall'Italia. Ma imporrà una procedura da seguire prima della chiusura totale o parziale, a garanzia dei lavoratori e anche delle stesse aziende. Così da evitare che poi alla fine il pallino passi in mano ai giudici. Cosa che attualmente accade sempre: prendiamo la vertenza Gkn, il 9 settembre ci sarà la prima udienza del ricorso promosso dalla Fiom.


IL PERCORSO
Lo schema predisposto si basa su un preciso cronoprogramma: l'azienda che vuole chiudere dovrà farne comunicazione alle istituzioni e ai sindacati sei mesi prima; poi entro un mese dovrà a suo carico nominare un advisor che, a sua volta dovrà predisporre un piano per limitare le ricadute occupazionali e produttive e avrà tre mesi di tempo per cercare un investitore alternativo. Nel frattempo partiranno i tavoli di trattativa. Se al termine del percorso l'azienda andrà comunque via dall'Italia, per i successivi 5 anni non potrà più usufruire di fondi pubblici per altre imprese dello stesso gruppo. Insomma niente porte girevoli.

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IL FONDO
Nell'ultima bozza sono state eliminate sanzioni e multe. Il disinvestimento in Italia a favore dell'apertura di altri siti produttivi all'estero, non sarà però completamente indolore. La multinazionale che se ne va dovrà restituire una parte dei contributi pubblici ricevuti in passato sottoforma di aiuto ai lavoratori espulsi così da lenire almeno in parte il trauma del licenziamento. In sostanza - se questo punto passerà l'esame di Draghi e del confronto con le parti - verrà costituito un fondo che servirà ad alimentare le risorse per la formazione, la riqualificazione, gli ammortizzatori, gli esodi incentivati, eventuali prepensionamenti. Si sta ancora valutando la percentuale dei fondi pubblici ricevuti che l'azienda dovrà destinare al fondo.
 

Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 11:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA