Rinnovabili, ostacolo norma sull'archeologia. «Da noi per i grandi impianti green attese fino a 7 anni. In Germania 12 mesi»

Il presidente del GIS: Il potere è in mano al Ministero della Cultura e alle Soprintendenze

Lunedì 6 Febbraio 2023 di Roberta Amoruso
Raffaello Giacchetti, presidente del GIS, Gruppo Impianti Solari

Raffaello Giacchetti, presidente dell’Associazione GIS, Gruppo Impianti Solari, rappresenta una fetta del settore in prima linea sugli investimenti, il 30 agosto scorso il vecchio Mite, ora Mase, ha aggiornato la modulistica per la Via come previsto dal Decreto Aiuti.
Ora l’istanza deve contenere anche la relazione paesaggistica e l’atto di verifica preventiva di interesse archeologico, come per le opere pubbliche. Un nuovo ostacolo per chi investe?

«Noi operatori del settore siamo molto preoccupati perché la modifica ha dato nuovamente tutto il potere in mano a Ministero della Cultura e alle Soprintendenze che, ormai è evidente, sono contrari per principio ai grandi impianti a terra». Ma è normale ci sia una verifica sull’impatto archeologico, soprattutto in aree preziose. C’era anche prima per i grandi impianti. «C’è una grande differenza: da settembre la verifica archeologica va fatta prima dI presentare la domanda di VIA. Prima i due processi di valutazione andavano avanti in maniera parallela e già ci volevano anni. Adesso è come raddoppiare i tempi. E per l’autorizzazione dell’impianto ci sono molti altri passaggi».

 

 

Quindi sono stati equiparati gli impianti Fer, costruiti da privati, alle opere pubbliche?

«A leggere le modifiche all’articolo 23 del Testo Unico dell’Ambiente, sembra proprio che l’atto del Soprintendente debba essere reso ai sensi del Codice degli Appalti, ma la normativa del Codice dei contratti pubblici si basava sul presupposto che la committente/stazione appaltante fosse una Pubblica amministrazione. Eppure gli impianti FER sono realizzati da imprese private, che si trovano a dover sostenere i costi delle indagini archeologiche; e nel 99% delle volte le imprese in quella fase non hanno ancora acquistato il terreno. Dunque, ci troviamo a chiedere il “permesso” alla Soprintendenza, che stabilisce termini e tempi per le verifiche». Quindi dopo tanti sforzi per semplificare, una svista del genere blocca di nuovo tutto? Il rischio è che le imprese non siano più nemmeno in grado di presentare la richiesta di autorizzazione perché non possono permettersi di fare onerosissimi scavi preventivi per tempi indefiniti e senza alcuna certezza di poter costruire l’impianto».

Quale può essere la soluzione?

«Ci sono giuste modalità di legge per permettere di conciliare perfettamente produzione di impianti e tutela dei beni archeologici e paesaggistici. E le imprese sono le prime a voler rispettare queste esigenze». Ìl governo Meloni vuole acceleaare sulle rinnovabili e il Decreto Pnrr sembra portare una nuova spinta. «Insieme alle altre Associazioni del settore abbiamo avviato un’interlocuzione con il Mase e speravamo in una modifica nella norma nel Milleproroghe, ma il correttivo non è passato». Una proposta di legge del Parlamento Ue prevede che non possono passare più di 18 mesi per un’autorizzazione e non più di 9 se l’impianto sorge in una delle “zone di accelerazione”.

È vero che in Italia ci vogliono fino a 7 anni?

«Se consideriamo i passaggi previsti dalla legge, sommati agli anni di processi dovuti ai ricorsi di Soprindetenze ed enti locali contro le autorizzazioni, e i contro-ricorsi delle imprese (che nel 100% dei casi hanno alla fine vinto le cause), sì, possono volerci anche 7 anni. La media è di 3 anni. Attualmente per i grandi impianti il tempo massimo per ricevere la VIA è 395 giorni: già è un periodo non breve. Sia almeno rispettato visto che poi si deve andare in Regione o Provincia.  Anche con nuovi paletti Ue, le imprese dovrebbero passare per la VPIA, nelle mani delle Soprintendenze per un tempo non definito. Nel frattempo, mediamente, in Francia o Germania serve un anno per approvare un impianto».

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