Bonomi: «Senza interventi subito le imprese italiane vanno verso la paralisi»

Il presidente della Confindustria: «Bisogna fissare un tetto al prezzo del gas. Il governo ci ascolti, altrimenti la situazione diventerà irreparabile e le chiusure si conteranno a migliaia»

Giovedì 17 Marzo 2022 di Osvaldo De Paolini
Bonomi: «Senza interventi subito le imprese italiane vanno verso la paralisi»
1

«Molti dicono che stiamo rallentando per colpa della guerra.

Ma già a novembre Confindustria faceva notare come la produzione industriale stesse rallentando, la guerra ha solo accelerato il processo. Da mesi sollecitavamo i provvedimenti necessari a sostenere il forte rimbalzo dello scorso anno - perché solo di rimbalzo si è trattato - per assicurare negli anni a venire una crescita intorno al 4% per far fronte all’enorme debito pubblico. Eppure quasi nulla finora è stato fatto. Adesso il rischio è di una stagnazione che, senza interventi strutturali, può diventare recessione».

Carlo Bonomi è molto preoccupato del fatto che ancora non si vedano all’orizzonte quegli interventi strutturali che potrebbero assicurare al Paese di resistere di fronte a questa nuova grave crisi. E aggiunge: «Siamo ostaggi non solo di strozzature nella fornitura di materie prime, di prezzi energetici alle stelle, di rincari generalizzati, ma anche di decisioni bloccate dalla burocrazia. Già a fine dicembre erano iniziate le avvisaglie di questa inerzia. E quando a maggio 2020 chiedemmo al governo di allora quale fosse il nuovo piano energetico, la risposta fu che non ne avevamo bisogno».

Prezzi in salita, moratorie e bollette ridotte: trenta miliardi per gli aiuti. Bonomi: «La politica ha colpe»

Presidente Bonomi, di che cosa ci sarebbe bisogno con la massima urgenza?

«Va cambiato il mix energetico. Il governo in 5 giorni ha cambiato tre versioni sull’impatto del gas russo. Già l’anno scorso ci dicevano che gli aumenti di prezzo erano transitori e che con l’estate i prezzi dell’energia sarebbero calati. Lo leggo anche adesso. È tempo di imparare dagli errori del passato, errori che hanno spinto il Paese a essere dipendente dal gas russo per il 40% quando già nel 2014, dopo la guerra di Crimea, la Ue chiedeva ai partner di diminuire drasticamente l’import di gas russo: l’Italia l’ha raddoppiato».

Quali sono i settori che ora stanno davvero rischiando?

«Numerosi. Da tempo stiamo dicendo che l’automotive sarebbe entrato in crisi, ora le mancate forniture dei cablaggi ucraini mettono ancor più all’angolo il settore. Il contesto internazionale è completamente cambiato, perciò servono interventi decisi. In queste condizioni di prezzi non siamo in grado di raggiungere gli obiettivi del “Fit for 55” mentre il Pnrr non copre gli interventi necessari per sostituire il gas russo, non solo con energia da fonti rinnovabili». 

Però la guerra è un tema che ha priorità assoluta, ci sono decisioni non rinviabili.

«Esattamente. Le imprese energivore sotto l’impatto di questi prezzi stanno bloccando la produzione. È un tema della massima urgenza. Hanno iniziato le acciaierie in Sicilia, seguite da quelle in Friuli e in Veneto, poi ha iniziato a fermarsi la ceramica in Emilia, ora le cartiere. Continuo?».

Ho capito. Il governo si appresta a varare un decreto d’emergenza. Che cosa si aspetta?

«Misure strutturali per tamponare questa situazione prima che diventi irreparabile».

Possiamo indicare quali sono le misure più urgenti?

«Andrebbe subito messo un tetto al prezzo del gas. Draghi ha fatto molto bene a tentare di coinvolgere l’Europa, ma se l’operazione non riesce, l’Italia deve farlo anche da sola».

Però se è un solo Stato che mette il tetto è difficile immaginare di poter fare acquisti su un mercato che per sua natura comanda sul prezzo.

«Non è così. Serve un’operazione trasparenza sui contratti in essere di approvvigionamento di gas. Si tratta per ogni operatore di contratti relativi a volumi e tempi diversi, con prezzi differenti e inferiori rispetto al prezzo del mercato giornaliero spot del gas che oggi incorpora gli effetti giornalieri del conflitto. Basta partire da quei prezzi reali contrattualizzati e indicare un tetto equo che comprenda anche margini di profitto ragionevoli, ma non legati al folle trend del prezzo quotidiano».

Ucraina, la Cina come può aiutare la Russia? Dalle armi al gas (ma l'energia tiene Putin legato all'Ue)

Che altro chiedete al governo?

«È inaccettabile che ancora oggi il prezzo orario dell’elettricità venga fissato in base all’impianto meno performante. A questi prezzi, ciò comporta un super premio a chi ha costi più bassi, a cominciare da chi produce elettricità da rinnovabili».

Veniamo al terzo punto.

«Sento parlare di bonus per benzina e gasolio relativi all’extra-gettito fiscale. Anche qui non ci siamo: vanno tagliate le imposte indirette sui carburanti una volta per tutte. Non è possibile che lo Stato in questo momento benefici di un extra-gettito per miliardi e poi pensi di abbattere il prezzo al distributore solo di 15 centesimi al litro. In nessun paese europeo accise e Iva sono pari al 123% del costo industriale del carburante. E’ folle che ancora oggi su benzina e gasolio gravino voci come la crisi di Suez del 1956, la ricostruzione del Vajont, l’alluvione di Firenze, il terremoto del Friuli».

C’è poi la questione fiscale più generale, che però vi riguarda da vicino visto che il tema del cuneo resta indefinito. 

«Alla fine del 2021 abbiamo criticato la legge di bilancio per misure che ignoravano il rallentamento produttivo: la cancellazione del patent box, il depotenziamento di Industria 4.0, il minore credito d’imposta su R&S. Si è preferito intervenire sulla riduzione dell’Irpef con 8 miliardi di cui nessuno si è però accorto. Ci fu spiegato che il momento delle imprese sarebbe venuto con la delega fiscale, prevedendo un taglio strutturale del cuneo. Ora ci viene detto che la delega non lo prevede».

E questo a voi ovviamente non sta bene.

«Proprio no. Per trent’anni ci hanno detto che non c’erano le risorse per fare le riforme, adesso che ci sono le risorse del Pnrr ci aspettiamo che vengano realizzate quelle riforme che renderebbero il Paese moderno, efficiente, sostenibile e inclusivo».

Del resto, non fu Mario Draghi che dal pulpito di Bankitalia avvertì che bisognava mettere mano ai 900 miliardi della spesa, riconfigurandola. Che cosa vi aspettate esattamente?

«Un taglio contributivo del cuneo fiscale che ci renda di nuovo competitivi anche sul costo del lavoro a livello europeo e una reale modifica del sistema di tassazione delle imprese».

Come dovrebbe essere questa modifica?

«Un’aliquota Ires ordinaria al 15%, in linea con la minimum tax internazionale, e un’addizionale fino al 9% in più per chi preferisce distribuire gli utili invece che reinvestirli. Questo mi aspetto dal presidente Draghi: Draghi deve fare Draghi. Oggi più che mai. E’ stato proprio lui che in tempi non sospetti ha parlato di debito buono e debito cattivo, questo è il momento di calare sul terreno quegli inviti al ricorso al debito buono che tutti abbiamo condiviso».

Nessun confronto recente con esponenti del governo?

«Con il premier c’è uno scambio continuo. Ma adesso è il momento di attuare misure sulle imprese ascoltandole. Abbiamo già stimato 400 milioni di ore di cassa integrazione per l’impatto che i sovraccosti energetici hanno sull’industria, è inaccettabile che non si chieda alle aziende ciò che serve. Ognuno si deve assumere le proprie responsabilità e nessuno si può più nascondere dietro il nome di Draghi».

Sbaglio o state chiedendo al governo di agire fuori dai binari europei? Di non aspettare i troppo lenti via libera di Bruxelles?

«Chiediamo al governo gesti coraggiosi. Noi imprenditori non siamo soliti lanciare grida d’allarme, ma è giunto il momento. Sono le imprese ad aver tenuto insieme il Paese nel momento drammatico della pandemia, hanno consentito che le forniture di medicinali giungessero a destinazione, che gli alimenti non mancassero sui banconi, che hanno garantito posti di lavoro e reddito in un momento di grande difficoltà. Il record dell’export nel 2021 l’ha fatto l’industria italiana, non chi sta dietro le scrivanie».

Come pensa che si risolverà il problema delle aziende italiane che fino a ieri hanno fatto affari con la Russia?

«Vorrei far notare che con grande responsabilità le imprese italiane hanno condiviso le pesanti sanzioni inflitte a Mosca. Eppure avremmo molto da dire: basti ricordare le 447 aziende che lavorano in Russia, che rischiano di perdere investimenti per 11 miliardi e che non possono essere abbandonate. E aggiungo che se in Italia non abbiamo l’inflazione più elevata che si registra altrove in Europa, è perché in questi mesi l’industria non ha trasferito sui clienti gli enormi sovraccosti che subisce. Non può continuare così».

Ultimo aggiornamento: 14:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci