Gas, il governo rilancia le trivelle in Adriatico. Eni: ricevuto solo il 65% delle forniture chieste a Gazprom

Il piano di emergenza parte dal carbone. Cingolani punta alla produzione nazionale

Venerdì 17 Giugno 2022 di Andrea Bassi
Gas, il governo rilancia le trivelle in Adriatico. Eni: ricevuto solo il 65% delle forniture chieste a Gazprom
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Mentre Mario Draghi da Kiev parla di «uso politico del gas» da parte di Mosca, la corsa del prezzo non si ferma. Per il premier i problemi tecnici dichiarati da Gazprom sono «scuse». E per il secondo giorno consecutivo il costo del metano sulla Borsa olandese si è impennato, chiudendo a 124 euro al Megawattora, dopo aver sfiorato i 150 euro. Nel governo inizia a serpeggiare una certa apprensione, anche se il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani parla per il momento di un «danno limitato».

Il ministro vuole aspettare di vedere cosa accadrà nei prossimi giorni prima di intervenire. La prossima settimana potrebbe riunirsi il Comitato emergenza gas e, nel caso, avviare le misure di emergenza. 

L’URGENZA

Il piano, insomma, per fronteggiare il taglio delle forniture. Un piano fatto anche di razionamenti prima per le imprese e poi, in caso estremo, anche per le famiglie. I contatti formali e informali tra il ministero della Transizione ecologica e le imprese del settore, da Terna a Snam a tutte le società energetiche, sono costanti. Cingolani, durante il Question time in Senato, ha spiegato di aver passato le ultime 36 ore a «monitorare» i flussi di gas. Gazprom aveva annunciato una riduzione del 40 per cento. Ma in realtà per adesso i flussi si sono ridotti di una percentuale inferiore. Eni ha fatto sapere di aver ricevuto solo il 65 per cento delle forniture chieste a Gazprom che, però, contenevano anche il recupero del gas tagliato nella giornata dell’altro ieri. Al passo del Tarvisio, da dove arriva il gas russo attraverso il gasdotto Tag, sono entrati 40 milioni di metri cubi. La domanda italiana è stata di 170 milioni di metri cubi. Alta per il periodo, ma la disponibilità di metano è comunque risultata di circa 210 milioni di metri cubi. Questo ha consentito di iniettare 37 milioni di metri di gas negli stoccaggi che, al momento, sono la principale preoccupazione del governo. 

Riempire le riserve è la condizione necessaria (anche se non sufficiente) per affrontare il prossimo inverno termico, che partirà il 15 novembre con l’accensione dei termosifoni. Per quella data il piano del governo prevede che gli stoccaggi siano riempiti al 90 per cento. Servono 17 miliardi di metri cubi da mettere da parte. Oggi siamo fermi a circa 10 miliardi, meno dei tedeschi e indietro rispetto alle attese dello stesso governo. Il riempimento, insomma, è troppo lento. A maggio c’era stata una ripresa dell’accumulo di riserve, soprattutto grazie all’intervento di Snam che ha messo da parte tutto il gas che usa in un anno. Gli altri operatori segnano ancora il passo, scoraggiati dai prezzi alti. Se pagano il gas a 145 euro e poi sono costrette a venderlo a 80 in inverno chi coprirà le perdite? È la ragione per cui non iniettano gas nelle riserve. Anzi, nelle scorse settimane gli operatori hanno preferito vendere il gas all’estero piuttosto che stoccarlo.

Il governo a questo punto non ha che un arma: farsi garante di ultima istanza. Assicurare gli operatori una copertura sulle eventuali perdite. Con il prezzo del gas a 145 euro potrebbe essere inevitabile. Il governo è stato preso in contropiede da Gazprom. Anche per questo ora è costretto a riscrivere la strategia. Cingolani, sempre in Senato, ha sostenuto la necessità di rivedere il Pitesai, il piano per la transizione ecologica. Per fare cosa? Per rilanciare e aumentare le estrazioni nel Paese, soprattutto in Adriatico dove ci sono giacimenti ricchi di metano. «In tal modo», ha spiegato il ministro, «si mantiene la rotta della decarbonizzazione al 55 per cento, ma si rende l’Italia più sicura e stabile dal punto di vista energetico». Ma cosa ha intenzione di fare il governo nei prossimi giorni se i tagli dalla Russia dovessero proseguire? L’intenzione sarebbe quella di accelerare e attivare subito il piano di emergenza in modo da dirottare più gas possibile negli stoccaggi. 

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I PASSAGGI

Cosa prevede il piano? Per prima cosa l’attivazione delle centrali a carbone, una misura che permetterebbe di risparmiare fino a 5 miliardi di metri cubi di metano. L’uso del carbone consentirebbe di fermare gli impianti a gas per la produzione di energia elettrica, che in questi giorni stanno marciando a pieno regime. Il passo successivo sarebbe l’interruzione delle forniture di gas alle imprese cosiddette «interrompibili». Si tratta di aziende che accettano di vedersi temporaneamente interrotte le forniture di gas in cambio di uno sconto sulla bolletta. Poi toccherebbe alle altre “gasivore”, altre imprese che hanno consumi elevati di metano.

Le interruzioni verrebbero effettuate in modo da non danneggiare la produzione, magari concentrandole in orari come quelli notturni quando gli impianti viaggiano a ritmi ridotti. Dopo il gas i tagli arriverebbero ai consumi elettrici. Con lo stesso schema: prima la riduzione delle forniture alle imprese con contratti interrompibili e poi a tutte le altre. Solo in ultima battuta i sacrifici sarebbero imposti alle famiglie con la riduzione delle temperature. 
Su quest’ultimo punto va detto che per adesso, i consumi non sembrano essersi ridotti. Anzi. Quelli elettrici a giugno di quest’anno, rispetto a giugno del 2019, sono addirittura aumentati del 4,5%. Nonostante l’appello di Draghi («Volete la guerra o i condizionatori?»), l’uso del raffrescamento domestico sembra essere a livelli alti.

Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 16:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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