Energia, consumi razionati se si blocca il gas di Mosca. Eni dice addio a Gazprom

Lo stop degli approvvigionamenti potrebbe essere deciso non da Putin ma dall’Occidente

Mercoledì 2 Marzo 2022 di Andrea Bassi e Gianni Bessi
Energia, consumi razionati se si blocca il gas di Mosca. Eni dice addio a Gazprom

Mentre una colonna di tank russi lunga sessanta chilometri viaggia verso Kiev per assediarla, mentre i missili di Mosca cadono su Kharkiv, martoriandola, la notizia è passata quasi inosservata. Il Canada di Justin Trudeau ha deciso di bloccare le importazioni di petrolio made in Russia.

Poco o molto che sia non ha importanza. Prima o poi il ragionamento andrà fatto: fino a quando si potranno acquistare gas e petrolio russi finanziando di fatto la campagna in Ucraina di Vladimir Putin? Fino ad oggi l’energia è stata volutamente tenuta fuori dalle sanzioni. E anche la scelta di non coinvolgere Gazprombank nel blocco dell’operatività sul sistema Swift, va nella stessa direzione. Coinvolgere il braccio finanziario del gigante energetico avrebbe significato nei fatti interrompere le forniture. 

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LE INCOGNITE
Ma la domanda resta. Fino a quando sarà possibile escludere l’energia dalle sanzioni? Se fino a qualche giorno fa il timore era che fosse Putin a chiudere il rubinetto del gas, adesso i ruoli si sono rovesciati: potrebbe essere l’Occidente, l’Europa e dunque anche l’Italia a interromperne gli acquisti. I segnali non mancano. L’Eni ha annunciato che metterà in vendita la sua quota nel gasdotto Blue Stream, al quale partecipa con Gazprom, e che porta il metano dalla Russia in Turchia. La società svizzera per gestire il Nord Stream due ha dichiarato bancarotta. La separazione è già iniziata. Ma come ci si potrà sganciare dalle forniture russe e che costi avrà per il sistema economico e per le famiglie? E da dove arriverà l’energia mancante? Il problema non è solo italiano. La Germania in questo momento appare la più attiva in questo senso. Se non altro perché il suo sistema energetico – insieme a quello dell’Italia – è quello che più dipende dagli approvvigionamenti che provengono dai giacimenti siberiani. Ecco allora che a pochi mesi dalla presentazione di un programma di governo molto “ecologico”, che puntava essenzialmente su fonti rinnovabili e, ma solo come risorsa di appoggio, sul gas da utilizzare in centrali di ultima generazione, Berlino ha annunciato una svolta molto poco green ma, come richiedono i tempi ed è nell’animo tedesco, molto pragmatica. In primo luogo è stata decisa la costruzione di due rigassificatori per il Gnl, in modo da aprire un canale di approvvigionamento con i paesi produttori – Stati Uniti in testa – e l’aumento della capacità di stoccaggio. Poi sono state rimandate le chiusure degli impianti alimentati a carbone e a energia nucleare. L’annuncio è venuto per bocca di Robert Hebeck, ministro dell’economia ma, soprattutto, leader dei Grune, il forte partito ecologista.La tattica italiana decisa dal governo guidato da Mario Draghi va nella stessa direzione. L’obiettivo è svincolarsi il prima possibile dalla dipendenza dalla Russia, anche se ovviamente le alternative non sono una strada tutta in discesa. 

Sul fronte degli approvvigionamenti il viaggio del ministro degli esteri Luigi Di Maio in Algeria è significativo. Fa ipotizzare un aumento delle forniture da quel Paese, un passo che in realtà porterebbe con sé comunque pericoli di instabilità. L’Algeria non è affidabile al cento per cento e togliersi da sotto la spada di Damocle russa per finire sotto la scimitarra algerina potrebbe non essere un progresso. La soluzione non passa solo dal cambio di identità del fornitore, perché ciò che conta davvero sono i volumi, anche tenuto conto che la priorità è riuscire a rifornire i distretti industriali della pianura padana, dove arriva il metano di Putin dall’ingresso di Tarvisio che in questi giorni sta pompando gas molto più del solito. Insomma, non basta acquistare il gas e farlo arrivare da qualche parte: i volumi debbono essere quelli necessari per assicurare il funzionamento del sistema, ma conta anche il prezzo. Le variabili in gioco sono molte. Ma bisogna prepararsi in qualche modo alla chiusura del canale russo. Ieri il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha detto che sul tema dell’energia «servono decisioni coraggiose in tempi rapidissimi». Il costo della bolletta energetica quest’anno salirà a 51 miliardi. E per questo ha chiesto un comitato nazionale di crisi tra governo e la stessa Confindustria. 

Il sistema produttivo non può essere fermato. Tema chiaro a Palazzo Chigi. Che ha già iniziato a prendere delle contromisure, come il riavvio delle centrali a carbone e a olio combustibile in caso di crisi. Ma potrebbe non essere sufficiente. Nei cassetti del governo ci sarebbero già dei piani articolati di riduzione dei consumi per fermare attività non strategiche e ridurre persino i consumi delle famiglie e della Pubblica amministrazione. Una austerity energetica che costringerebbe i cittadini a quei «sacrifici» evocati ieri in Parlamento dallo stesso Draghi. Sacrifici che andrebbero ad aggiungersi ad aumenti dei prezzi di alcuni beni essenziali come la pasta e il pane, o la benzina e le stesse bollette elettriche e del gas. Recessione, inflazione, razionamenti. Uno scenario da incubo. Ma uno scenario che prende corpo man mano che i tank e gli aerei russi si avvicinano minacciosi alle città ucraine. 
 

Ultimo aggiornamento: 14:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA