Gas: in Italia il conto più salato, Norvegia e Olanda guadagnano con la crisi. Così l'Europa si spacca

La Germania con 200 miliardi si fa da sola il tetto al prezzo e blocca quello per gli altri

Sabato 1 Ottobre 2022 di Andrea Bassi e Gabriele Rosana
Gas: in Italia il conto più salato, Norvegia e Olanda guadagnano con la crisi. Così l'Europa si spacca
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In Europa è scattato il si salvi chi può. E chi sicuramente può è la Germania. Contro il caro-gas Berlino ha deciso di stanziare la cifra stratosferica di 200 miliardi di euro per proteggere le proprie imprese e le proprie famiglie dalla tempesta perfetta che si è abbattuta sulle bollette.

Berlino, si diceva, può perché ha un debito basso e finanze pubbliche in ordine. Sui mercati può finanziarsi a tassi ridottissimi. Ma la decisione di andare per la sua strada, come già fece all’inizio della crisi finanziaria del 2008 partita con il fallimento della Lehman Brothers, rompe l’unità di azione tra i Paesi del Vecchio continente faticosamente costruita durante il Covid. L

’irritazione nelle capitali europee è alta. Mario Draghi l’ha espressa chiaramente, così come Giorgia Meloni. 
Anche Bruxelles ha battuto un colpo. «Non possiamo pensare che di fronte a una crisi di questo genere che riguarda tutti», ha detto il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, «ciascuno risponda per sé magari misurando la propria risposta sulla base del proprio spazio fiscale, del proprio spazio di bilancio. Questa è la logica che abbiamo evitato durante la pandemia». 

 

LA PREOCCUPAZIONE

La preoccupazione è che il “metodo comunitario”, per cui la Commissione propone delle misure comuni e poi i governi negoziano, finisca nella pattumiera. E un indizio si è avuto già ieri. Nonostante ben 15 Paesi avessero inviato una lettera alla presidente (tedesca) della Commissione, Ursula von der Leyen, per indurla a presentare una proposta di tetto al prezzo del gas, nulla si è mosso. Le ragioni non sono un mistero. Oltre alla Germania, che teme di perdere le forniture, contro il tetto sono schierati altri Paesi come l’Olanda, che come conseguenza delle sanzioni alla Russia e della guerra energetica, fa profitti enormi grazie al fatto di ospitare il Ttf, la Borsa europea del metano. Anche la Norvegia si è messa di traverso al prezzo amministrato del metano. Non è un membro dell’Unione ma è fondatrice dell’Alleanza Atlantica, di cui esprime pure il segretario generale Jens Stoltenberg. Dall’inizio della guerra, lo Stato scandinavo è diventato il primo fornitore di gas dell’Ue, rimpiazzando la Russia che in pochi mesi ha visto le sue forniture via gasdotto passare dal 40% al 9% delle importazioni del Vecchio continente. 

Nel 2022, Oslo ha aumentato la produzione e mandato nell’Ue quasi l’80% di tutto il suo export di metano. Un incremento considerevole che, grazie ai prezzi record del gas in Europa, ha spinto alle stelle i profitti del settore energetico: secondo i dati dell’istituto statistico nazionale, nei primi otto mesi dell’anno le esportazioni di metano hanno toccato il valore di circa 77 miliardi di euro, il 315% in più rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Sicché il tetto alla Norvegia, proprio non conviene. E pace se l’inflazione vola e le famiglie di buona parte del Vecchio Continente si trovano a dover pagare bollette insostenibili. 

 

L’ognuno per sè vale anche per Spagna e Portogallo. I due Paesi hanno ottenuto in primavera un’importante concessione dalla Commissione europea: poiché la loro rete di distribuzione del gas conta bassissimi livelli di interconnessione con il resto del continente, hanno ottenuto - ben prima che l’eventualità venisse discussa per tutta Europa, il che sta avvenendo da appena qualche giorno - la possibilità di mettere a punto un tetto nazionale al prezzo del gas al dettaglio, in cui è lo Stato, beninteso, a pagare la differenza tra un costo amministrato e il “cap” di 50 euro al megawattora fissato da Madrid e Lisbona. Anche sulle sanzioni si litiga e si cercano scappatoie, visto che per approvarle serve l’unanimità. Pure sull’ultimo pacchetto il negoziato potrebbe farsi insidioso: se da una parte la bozza colpisce prodotti della vita di tutti i giorni (dalla carta igienica ai detergenti), dall’altra ne fa salvo uno che all’apparenza sembrerebbe piuttosto sacrificabile, cioè i diamanti. 
Nonostante il pressing di questi giorni, infatti, il Belgio si è già messo di traverso: prima dell’inizio della guerra importava diamanti russi per circa 2 miliardi di euro. Brillanti che fanno capolinea ad Anversa, la capitale europea del settore, da cui si stima passino 9 preziosi grezzi su 10.

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I LIMITI

Chi rischia di rimanere senza salvagente è l’Italia. Per fronteggiare il caro bollette il governo Draghi ha dovuto stanziare oltre 60 miliardi quest’anno. Ha potuto farlo senza fare deficit grazie al buon andamento dei conti pubblici. Ma ora il vento è cambiato. Il prossimo anno si preannuncia una gelata. L’economia rallenterà fino allo 0,6 per cento. Se Mosca ferma del tutto il gas sarà stagnazione. Per Roma finanziarsi sui mercati diventerà sempre più costoso. Già quest’anno dovrà pagare quasi 12 miliardi di interessi in più. Spazio fiscale per interventi di aiuto a famiglie e imprese, senza scostamenti di bilancio, non ce n’è. Non solo. Se Roma provasse a “rompere” e a forzare la mano con il deficit, rischierebbe una crisi simile a quella che sta patendo l’Inghilterra sul cambio dopo l’annuncio di un maxi piano di tagli fiscali da 45 miliardi. Solo che per l’Italia la punizione rischierebbe di arrivare sul debito. Come se non bastasse, la governatrice della Banca centrale Christine Lagarde, ha già chiarito che senza i conti in ordine non aprirebbe l’ombrello anti-spread. Roma, insomma, rischia di finire all’angolo, con le famiglie alle prese con bollette carissime e le imprese fuori mercato rispetto a quelle tedesche “sussidiate” dai 200 miliardi di aiuti. 

Ultimo aggiornamento: 08:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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