Recovery , Cottarelli: «Con queste liti nel governo si rischia di far deragliare il piano»

Mercoledì 13 Gennaio 2021 di Luca Cifoni
Recovery , Cottarelli: «Con queste liti nel governo si rischia di far deragliare il piano»

L'Italia avrebbe già dovuto presentare il suo Piano di ripresa e resilienza, in anticipo rispetto alle scadenze dell'Unione europea. Mentre il governo è in bilico, Carlo Cottarelli, economista e direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica, già dirigente del Fmi e commissario alla spending review, guarda con preoccupazione ai tempi con cui il nostro Paese sta preparando questa operazione straordinaria.

E suggerisce per la governance una struttura snella che non si sovrapponga al lavoro dei ministeri.


Cottarelli, le ostilità nella maggioranza sono iniziate proprio dal tema della governance, che ora è stato messo tra parentesi. Secondo lei quale sarebbe l'assetto migliore?
«Dico subito che mi pare inappropriato creare una struttura parallela alla pubblica amministrazione come quella ipotizzata nelle settimane scorse, con i sei supermanager e i 300 tecnici sotto, una specie di piramide. Il pericolo di un assetto del genere è creare interferenze con i ministeri, che invece devono essere coinvolti in pieno perché hanno le risorse ed anche i dati per usarle. Invece così si rischierebbe di mettere i bastoni tra le ruote alla loro azione».

Recovery Plan, cos'è e cosa c'è dentro: dagli asili nido al 5G

Crisi, Orlando vice a palazzo Chigi: al Pd anche il sottosegretario e torna l'idea Boschi alla Difesa


Ma è stato detto che proprio l'Unione europea chiede una struttura che coordini e faccia da punto di riferimento...
«Può avere senso un nucleo più piccolo, sempre presso la Presidenza del Consiglio: dovrebbe avere il compito di monitorare la situazione e intervenire eventualmente per risolvere attriti tra i vari ministeri o situazioni di stallo. Potrebbe essere anche coordinato dal ministro per gli Affari europei, non c'è bisogno di inventarsi un'altra figura. Il modello che ho in mente è quello utilizzato in Gran Bretagna per la spending review, che dalla metà degli anni Novanta lì viene fatta in via continuativa: c'è un responsabile presso l'ufficio del premier che coordina il lavoro dei diversi ministeri: l'obiettivo è risolvere i conflitti, non creare una struttura parallela».


Il tema della eventuale task force è stato messo tra parentesi, per il momento. Intanto però il piano sembra in dirittura d'arrivo.
«La cosa che mi preoccupa è che stiamo andando troppo lentamente: mentre la politica litiga siamo arrivati a metà gennaio. È vero che i contatti informali con la Commissione Ue vanno avanti ma è anche vero che da luglio sapevamo come muoverci, le linee guida europee erano note. Mi sarei aspettato che dopo sei sette mesi fossimo più avanti, avessimo già presentato il progetto. E l'assetto della governance viene rinviato ad un provvedimento successivo, chissà quando a questo punto».


La finestra ufficiale per la presentazione dei progetti si aprirà probabilmente a febbraio, dopo i ritardi nell'iter al Parlamento europeo provocati dalle discussioni con Ungheria e Polonia.
«Va bene, ma noi nella situazione in cui siamo dovremmo battere il calendario, anticipare i tempi. Purtroppo i precedenti non giocano a nostro favore. Se andiamo piano già nella fase della progettazione, cosa succederà in quella dell'esecuzione, quando i progetti bisognerà portarli a termine?».


Ma la macchina della pubblica amministrazione sarà pronta per gestire questa sfida senza precedenti?
«Non è solo un problema di come funziona la burocrazia. Purtroppo non esiste un sistema di valutazione dei risultati. Non esiste una cultura della performance. I tentativi fatti a partire dalla legge Brunetta del 2009 di introdurre indicatori legati ai risultati sono finiti nel nulla. Attualmente gli obiettivi vengono fissati solo pro forma e i compensi vengono assegnati a pioggia. Stiamo pensando a riforme della pubblica amministrazione che puntino tutto sulla digitalizzazione ma c'è molta meno attenzione su questi aspetti».


E l'alta dirigenza? Lei ha avuto modo di conoscerla da vicino prima quando lavorava al Fondo monetario, poi da commissario per la revisione della spesa.
«Tra gli alti dirigenti dello Stato ce ne sono di bravissimi e di meno bravi. Quello che a me pare strano è che non ci sia il principio della rotazione degli incarichi. Si rimane nella stessa posizione per anni e anni, il che impedisce di rinfrescarsi le idee, di guardare più avanti: ognuno costruisce il suo castello e poi resta lì a difenderlo. La riforma Madia aveva provato a inserire questa idea della rotazione almeno per sei anni ma poi sono state inserite troppe eccezioni e alla fine non se ne è fatto niente».


Il governo ha deciso di usare una parte delle risorse europee, all'interno della quota prestiti, per finanziare progetti già esistenti sostituendo risorse nazionali in modo da alleggerire il deficit tendenziale. Quindi non tutti gli oltre 200 miliardi avranno una valenza addizionale. Come valuta questa scelta?
«Non ne farei questione semantica tra addizionale e sostitutivo. Il punto di partenza è stabilire l'obiettivo di debito pubblico per i prossimi anni. Se la ripartizione totale dei fondi è coerente con i target dei conti pubblici fissati nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, allora va bene. Tenendo conto che già quest'anno avremo deficit aggiuntivo per un punto e mezzo di Pil rispetto a quello preventivato».

Ultimo aggiornamento: 09:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci